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Foto di Paolo Ranzani, in mostra fino all'11 gennaio al Castello di Casale Monferrato (Alessandria)
Ha 68 anni ma ne dimostra almeno dieci di meno. E misura 188 centimetri di altezza, compreso l’inconfondibile ciuffo di capelli, che l’ha reso famoso, eredità del suo Puck, interpretato nei primi anni 90 nel Sogno di una notte di mezz’estate di Shakespeare. Arturo Brachetti è considerato il più grande maestro del trasformismo internazionale. E anche se oggi, dopo 40 anni dal suo debutto di Parigi nel 1979, vanta una galleria incredibile di 400 personaggi di cui è capace di interpretarne 100 in una sola serata, non ha dimenticato i suoi esordi difficili.
«Ero in collegio dai preti, perché a 11 anni ero un bambino piccolino, magro e molto timido. Mi hanno messo in un seminario così dovevo essere obbligato a giocare con gli altri. Da subito mi hanno esonerato dalle lezioni di ginnastica, vista la mia gracilità, ma non potevo sfuggire al bullismo dei miei compagni di scuola. Non posso parlare di un bullismo violento ma di umiliazioni, come la volta che mi hanno messo nel bidone della spazzatura».
È riuscito ad averla vinta sulla cattiveria dei suoi coetanei?
«A me piaceva già il teatro perché per i timidi diventa una rivincita sociale incredibile, anche molto facile da espletare, e poi a 14 anni ho conosciuto un prete, don Silvio Mantelli, che faceva giochi di prestigio e conosceva la magia. Tra l’altro è lui il fondatore del Museo della Magia di Cherasco, in provincia di Cuneo, dove una stanza è dedicata ai miei costumi e tuttora organizziamo insieme eventi di beneficenza».
Una riconquista di sé stesso guadagnata giorno dopo giorno…
«Ero diventato l’assistente di don Silvio, a poco a poco ho imparato la sua arte e, se mi presentavo al pubblico vergognandomi per la mia timidezza, dall’altra parte la sentivo come una rivalsa perché, quando prendevo le carte e magicamente le indovinavo, i miei coetanei rimanevano spiazzati. Uno a zero per me. C’era anche un deposito di costumi teatrali per organizzare le recite e con il prete e altri amici rovistavamo in quell’antro delle meraviglie. Mi travestivo da cinese e poi da indiano e presto ho capito che con il costume avevo più forza. Ognuno dietro una maschera ha più coraggio. A 15 anni facevo già le mie trasformazioni senza conoscere Leopoldo Fregoli, ma quando ho letto il libro Fregoli raccontato da Fregoli (il libro è stato pubblicato nel 1936 da Rizzoli, ndr), la vita da girovago di lusso di questo artista rocambolesco mi ha esaltato, ho partecipato a un concorso, con la rappresentazione di sei personaggi l’ho vinto e, con i soldi guadagnati come portiere d’albergo all’Hotel Victoria di Torino, sono partito per Parigi nel 1979. Lì ho riportato l’arte dimenticata di Fregoli e sono diventato l’attrazione di punta del Paradis Latin».
Guardando al passato come lo rilegge con gli occhi da adulto?
«Sono stato molto fortunato e, osando da giovane e non avendo nulla da perdere, ho incontrato delle porte girevoli che mi hanno catapultato in mondi o avventure molto al di là dei miei sogni. Mi sono ritrovato in progetti sempre più complessi e sono diventato il sogno di me stesso, una cosa che fanno gli artisti che creano un loro personaggio. Come Marilyn Monroe o Madonna, per esempio. E ho fatto centro anche quando ho avuto l’idea del ciuffo. In Francia mi chiamavano L’italien avec la Tour Eiffel sur la tête. Ma la cosa più importante è avere trovato qualcuno che ha avuto fiducia in me».
Come considera il rapporto tra adolescenti e adulti e la problematica del bullismo così attuale?
«La cosa peggiore per i ragazzi bullizzati è non parlarne. Devi trovare qualcuno che ti indichi dei goal da raggiungere, delle altre carte da giocare perché non sempre uno vince con una scala reale, ma può anche vincere con un poker d’assi. Una cosa che rimprovero ai giovani è quella di credere nel web come fosse lo scibile umano. Se non sei su YouTube, non esisti».
Come si reggono i ritmi serrati e i molteplici ruoli di un attore-trasformista, uno showteller e un regista e direttore artistico che spazia con naturalezza dal teatro comico al musical, dalla magia al varietà?
«Quando me lo chiedo rispondo che fa parte del packaging. Faccio ginnastica tre volte alla settimana con un personal trainer inflessibile. Mangio la metà dei miei coetanei, ma sano: dal riso integrale alle verdure, dalle zuppe al sashimi. Il mio vizio sono i dolci. Mi concedo una brioche una volta alla settimana e una manciata di biscottini per avere un gusto dolce a fine pasto. Questa fisicità mancata della mia infanzia e adolescenza, a proposito di benessere, me la sono ripresa tutta dopo. Mi trovo adesso più atletico dei miei coetanei».







