Peccato che bambole, palloni e macchinine siano finiti in cantina, rimpiazzati da consolle e telefonini. Si salva forse l’orsacchiotto di peluche per addormentarsi. «Peccato davvero, perché il valore aggiunto del giocattolo nell’attività ludica non può essere eguagliato dai videogiochi», dice Francesca Antonacci, professoressa ordinaria all’Università di Milano Bicocca, dove insegna Pedagogia del gioco.
La lingua italiana confonde i due concetti di gioco e giocattolo, a differenza di quella inglese, molto più precisa. «Si parla di game se si intende il singolo gioco o la partita, e di play se ci si riferisce all’azione del giocare in senso più esteso (infatti è un termine usato anche per suonare o recitare). E poi c’è il giocattolo vero e proprio, quello materiale, che si chiama toy. E sono i toys che mancano ai nostri bambini».

I danni delle ore allo schermo
Giocare vuol dire immaginare, creare nuove possibilità per le cose, per le relazioni. Inventare non solo ciò che non esiste, ma ricordare l’esistente ed esprimere la propria sfera del desiderio. Ogni invenzione nasce proprio dal gioco, dal fatto che da bambini impariamo a usare gli oggetti non in modo banale, ma differente da quello per cui sono stati concepiti. È così che una semplice scopa diventa uno strumento per volare o un cavallo oppure una chitarra. O meglio diventava, perché di bambini a cavalcioni su un bastone non se ne vedono più molti.

Bambini e adolescenti

Leggere su carta: i vantaggi per il cervello dei ragazzi

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«Sono cambiati tempi e modi del gioco», prosegue Antonacci. «E direi non in meglio. Il fatto che si passino così tante ore davanti allo schermo, non solo con i videogiochi, ma anche sui social o guardando video in Rete, anche in età molto precoce, non fa bene ai bambini».
Il digitale toglie il senso della spazialità, dell’orientamento nella realtà. La materialità dei giocattoli, invece, consente ai piccoli di confrontarsi con il mondo nella sua concretezza ed è uno dei modi migliori per stimolare l’immaginazione in un cervello in formazione.

Abbracciare i bambolotti
Occuparsi di una bambola, dove si proiettano quelle che gli esperti chiamano “energie di cura e di presa in carico”, imitando la mamma, il papà, la dottoressa o il maestro, è molto importante. «Prima di tutto perché è un oggetto materiale: se cade si può rompere, lo posso abbracciare, ha una relazione con il mio corpo», spiega la pedagogista. «Non avviene nulla di tutto questo attraverso uno schermo: l’imitazione di un atteggiamento di cura tramite il video raffredda la relazione di cura stessa». Un conto è pettinare una bambola dal video, simulando l’azione di nutrirla e portarla a spasso, un altro è metterla su una seggiolina, imboccarla facendo finta di darle la pappa o sedersi accanto a lei a prendere un tè con tanto di tazzine e piattini.
Lo stesso vale per la palla: se la tiro a un altro bambino lui può prenderla oppure no, posso lanciarla troppo piano o troppo forte o magari farla finire nel giardino del vicino di casa e dover andare a recuperarla. «La relazione con l’oggetto», dice Antonacci, «attiva la dimensione degli affetti e insieme anche quella cognitiva».

Costruendo si impara
E poi ci sono le costruzioni, riscoperte in anni recenti. Non andrebbero relegate solo alla prima infanzia per due ragioni. Prima di tutto per il grande valore simbolico, stimolando la fantasia e portando i piccoli a immaginare un mondo da creare da zero. Poi perché aiutano ad apprendere. «Mentre costruisce, il bambino impara in modo naturale a impilare le cose, a farle cadere e anche a distruggerle», spiega la docente, «e con le sue mani trasforma e crea: una casa, un ponte, una macchina. Più sono semplici – penso a quelle di legno grezzo con colori neutri – più danno spazio all’immaginazione, più sono complesse e preconfezionate meno sono efficaci».
I giochi digitali privano i bambini di uno spazio materiale e simbolico necessario, limitandoli solo a spostare cose e personaggi, “pescandoli” da situazioni e scenari predefiniti. Con qualche eccezione. «Alcuni videogiochi li salverei, a dire la verità», commenta Antonacci. «Sono quelli, come Minecraft, per fare un esempio, che danno al giocatore una estrema libertà, anche nella combinazione degli elementi, dandogli la possibilità di costruire cose che prima non c’erano».

Costruire pupazzetti stimola la fantasia dei piccoli e li spinge a inventare personaggi e storie che prendono vita durante il gioco
Costruire pupazzetti stimola la fantasia dei piccoli e li spinge a inventare personaggi e storie che prendono vita durante il gioco

Costruire pupazzetti stimola la fantasia dei piccoli e li spinge a inventare personaggi e storie che prendono vita durante il gioco

L’aiuto dei nonni
Anche la famiglia può fare la sua parte, in particolare i nonni, alleati preziosi quando si parla di giocattoli: a gennaio, per esempio, il Comune di Genova li ha coinvolti facendoli tornare sui banchi della scuola per l’infanzia a insegnare ai piccoli a giocare come si faceva una volta, con le poche cose che c’erano a disposizione (tappi di bottiglia, biglie e bastoncini).
Giocare è fondamentale, in tutte le fasi della vita. Ma è l’attività che viene sacrificata per prima quando si vuole dare spazio ad altro.
«Meglio rinunciare al corso di giapponese e mettergli in mano un trenino: fino a sei anni i bimbi dovrebbero giocare per la maggior parte della giornata, dai sei agli 11 per la metà del tempo», dice la pedagogista. E dopo? Si continua a giocare. «Riservare uno spazio ludico quotidiano è indispensabile per mantenere un buon equilibrio e garantire un corretto sviluppo psichico».