L’atresia delle vie biliari è una malattia epatica infantile rara e costituisce la prima causa di trapianto di fegato nei bambini: ha colpito anche la piccola Virginia, salvata dalla donazione della mamma, Daniela Gentile, avvenuta all’Ismett (leggi qui la sua testimonianza). A oggi non esistono cure mediche, ma solo terapie chirurgiche: senza l’intervento detto “di Kasai”, che crea un passaggio diretto tra fegato e intestino per drenare la bile, un paziente non supera i due anni di vita. Nei casi non candidabili a questa procedura o che progrediscono nella malattia nonostante l’intervento, com’è successo a Virginia, si rende necessario il trapianto, che consiste nella sostituzione di un fegato gravemente danneggiato con uno sano, intero o parziale, proveniente da un donatore deceduto o vivente. Nel nostro caso, la madre.

Etica e ben essere

«Ho donato il fegato alla mia bambina e si è salvata»

«Ho donato il fegato alla mia bambina e si è salvata»
«Ho donato il fegato alla mia bambina e si è salvata»

Quando è necessario
Il trapianto diventa indispensabile e salvavita quando il fegato non è più in grado di svolgere le sue funzioni vitali.

Valutazione della compatibilità
Prima dell’intervento, è fondamentale verificare la compatibilità tra donatore e ricevente. I principali criteri considerati sono il gruppo sanguigno, la compatibilità anatomica e altri fattori immunologici.

La procedura da donatore vivente
Come nel caso del rene, anche il trapianto di fegato può avvenire da donatore vivente, che generalmente è un familiare compatibile. In questo caso si preleva soltanto una porzione di fegato, che ha la straordinaria capacità di rigenerarsi sia nel donatore sia nel ricevente. È una soluzione, utilizzata soprattutto per i pazienti pediatrici, che consente di ridurre i tempi di attesa, evita il peggioramento delle condizioni cliniche e aumenta le possibilità di successo. Per le sue caratteristiche di vitalità e per la maggiore compatibilità immunologica con il ricevente, l’organo trapiantato da donatore vivente garantisce un maggiore tasso di sopravvivenza dell’organo stesso e del paziente nel lungo termine.

L’intervento e il decorso
L’operazione dura in media dieci ore e richiede un’équipe specializzata. Dopo l’intervento, il ricevente inizia un percorso di recupero graduale. La terapia immunosoppressiva è necessaria per prevenire il rigetto dell’organo, ma dopo il trapianto è possibile condurre una vita attiva e soddisfacente.