Una storica azienda siciliana ha racchiuso dentro un barattolo di vetro non solo una crema spalmabile ma anche una filosofia: togliere, anziché aggiungere. Così, nella semplicità di un solo ingrediente, la Damiano di Terranova, in provincia di Messina, ha conquistato il voto del pubblico e l’attenzione della scienza. La Crema di nocciole tostate-Nocciola 100% di Damiano ha ottenuto il primo Premio Smartfood Ieo. Si tratta del riconoscimento alle aziende che si distinguono per l’impegno nel miglioramento nutrizionale dei propri prodotti, istituito dal programma Smartfood dell’Istituto europeo di oncologia di Milano, dedicato quest’anno alla prima colazione.

Riccardo Damiano, lei è l’amministratore delegato dell’azienda: quando è nata l’idea di creare una crema spalmabile con un solo ingrediente?
«Circa cinquant’anni fa. Era un progetto di mio padre Pasquale, che nel tempo abbiamo rivisitato più volte, fino a ottenere quella che oggi consideriamo la “ricetta” perfetta. Il risultato è una crema dal gusto equilibrato, piacevole al palato, che si abbina benissimo anche a una tazza di caffè caldo. È versatile: ottima da gustare al cucchiaio, ma altrettanto indicata per preparare torte e biscotti».

Riccardo Damiano, amministratore delegato dell’azienda siciliana
Riccardo Damiano, amministratore delegato dell’azienda siciliana

Riccardo Damiano, amministratore delegato dell’azienda siciliana

Sono servite tante sperimentazioni?
«Molte, sì. Anche quando parliamo di un solo ingrediente, come la nocciola, questa è composta da pellicola esterna, fibre, grassi e proteine. Abbiamo cercato il giusto equilibrio fra le varie componenti, riducendo un po’ le fibre o eliminando la parte più tostata».

Ora che avete acquisito esperienza, quanto tempo richiede lo sviluppo di una nuova crema spalmabile?
«Dai dodici ai ventiquattro mesi. Di solito partiamo da un’intuizione legata al mercato, perché ogni area del mondo ha preferenze e gusti specifici. A quel punto realizziamo almeno una decina di prove, seguite dalle analisi di laboratorio per verificare l’invecchiamento e l’ossidazione del prodotto. Anche se questi test vengono accelerati, servono comunque diversi mesi per completarli».

Come si trasforma la frutta secca in crema?
«È fondamentale partire da frutti già essiccati. Trattandosi di creme anidre, cioè prive di acqua e pronte all’uso, l’assenza di umidità impedisce fermentazioni e rende superflua la pastorizzazione, evitando così alterazioni nel gusto e nelle proprietà nutrizionali. Ogni varietà richiede una lavorazione specifica, ma in linea generale il processo prevede una fase di pre-macinazione seguita dalla raffinazione».

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Ma la raffinazione non compromette la qualità nutrizionale?
«Infatti ci piace parlare di molitura, più che di raffinazione. Quest’ultima viene spesso associata a processi che comportano riscaldamento e trasformazioni profonde, come avviene nella produzione di pasta o di alimenti ultra-processati».

Invece, le vostre creme sono semplicemente molite?
«Le nocciole vengono frantumate meccanicamente fino a raggiungere dimensioni tra i 20 e i 40 micron, senza omogeneizzazione né ricompattazione. Potremmo dire che sono “frullate”. In un vasetto c’è davvero la frutta secca, che ha solo cambiato forma. Questo processo meccanico, se ben controllato, non altera i grassi né attiva l’ossidazione».

La Crema di nocciole tostate-Nocciola 100% di Damiano che ha vinto il primo premio istituito dal programma Smartfood dell’Istituto europeo di oncologia di Milano
La Crema di nocciole tostate-Nocciola 100% di Damiano che ha vinto il primo premio istituito dal programma Smartfood dell’Istituto europeo di oncologia di Milano

La Crema di nocciole tostate-Nocciola 100% di Damiano che ha vinto il primo premio istituito dal programma Smartfood dell’Istituto europeo di oncologia di Milano

Che macchinari usate?
«Usiamo cilindri di acciaio o di marmo, lame rotanti, sfere o mole, spesso combinati. Come nel vino, che cambia colore, gradazione e sapore in base alla selezione e alla maturazione delle uve, anche qui il processo incide in modo inconfondibile sul risultato. Per la crema di nocciola si usano almeno due tecniche in sinergia per ottenere una consistenza fine senza surriscaldare il prodotto. Evitare il calore è fondamentale per preservare enzimi e nutrienti, che si deteriorerebbero oltre i 42 gradi».

Esistono prodotti simili ai vostri, in Italia o all’estero?
«Molte realtà cercano di fare qualcosa di simile, ma nessuno raggiunge i nostri numeri. Tutti gli altri, messi insieme, non vendono quanto noi. Questo dimostra quanto la scelta del consumatore sia determinante».

Cosa vi differenzia dalla concorrenza?
«Noi utilizziamo esclusivamente frutta intera di alta qualità. A differenza di molte creme industriali, che impiegano frutti danneggiati o di scarto non adatti ad altri utilizzi, noi puntiamo su materie prime selezionate».

Questo influenza gusto e stabilità del prodotto?
«Un frutto spezzato presenta una superficie molto più ampia esposta all’aria. Su scala industriale, questo significa un’ossidazione più marcata. Per questo motivo, conserviamo i frutti nel guscio fino al momento della lavorazione, li apriamo all’ultimo e selezioniamo solo quelli integri».

Quanti frutti ci sono in un vasetto?
«Dipende. Per esempio, nel caso delle mandorle, parliamo di circa 200-205 frutti; per le nocciole, siamo tra le 190 e le 200 unità».

In che modo la scelta di usare ingredienti biologici influisce sulla qualità dei vostri prodotti?
«Il biologico ha caratteristiche organolettiche e nutrizionali diverse dal convenzionale, perché non è frutto di agricoltura intensiva. A differenza del convenzionale, che copre il 90% del mercato e segue processi industriali, il bio mantiene metodi simili a quelli di cento anni fa. Questo approccio più selvaggio si traduce in frutti più ricchi, meno standardizzati e con un migliore profilo nutrizionale».

Collaborate con qualche istituzioni scientifica?
«Sì, collaboriamo con l’Università di Palermo e la Scuola Normale Superiore di Pisa, con cui stiamo portando avanti un progetto molto interessante sul riutilizzo degli scarti di produzione. Siamo stati i primi a sperimentare questo approccio, che ha attirato l’interesse di alcune multinazionali».

Avete anche un’azienda agricola di famiglia?
«Sì, è gestita da mio figlio Fabrizio e si estende su 350 ettari. Oggi ha la più grande monocoltura di mandorle bio in Sicilia, certificata Naturland e Bio Suisse, due standard biologici di altissimo livello. Apriamo le nostre porte ai giovani che vogliono tornare a coltivare la terra, sia in Sicilia sia in Puglia, con cui abbiamo rapporti attivi. È bello vedere questo ritorno all’agricoltura, dopo anni di abbandono».

Ovviamente, la vostra produzione locale non riesce a coprire tutte le esigenze produttive.
«No, infatti importiamo frutta secca da tutto il mondo e, viceversa, esportiamo i nostri prodotti globalmente. Oltre a mandorle e nocciole, lavoriamo pistacchi, pinoli, anacardi e noci brasiliane».

Qual è il vostro fatturato?
«Nel 2024 abbiamo raggiunto i 62 milioni di euro, di cui oltre la metà proviene dalle creme spalmabili».

Come vi scelgono i clienti?
«Parliamo spesso di sostenibilità, ma non sempre ci rendiamo conto che ognuno di noi può fare la differenza tre volte al giorno, precisamente a colazione, pranzo e cena. Le scelte individuali, se moltiplicate per milioni di persone, hanno un impatto enorme. Preferire un prodotto di qualità non è solo una questione economica: significa anche sostenere un’industria responsabile, che guarda al futuro».

A tal proposito, è vero che vent’anni fa lei ha creato una Fondazione che va incontro ai dipendenti?
«Sì, perché li consideriamo come parte della famiglia, per cui andiamo a coprire le spese impreviste quando situazioni urgenti – tristi o felici – devono essere affrontate. Per esempio, abbiamo pagato gli studi ai figli di molti di loro oppure siamo intervenuti se qualcuno aveva bisogno di ristrutturare casa o voleva comprarla, dando un acconto e occupandoci di negoziare con le banche il mutuo migliore. Abbiamo anche sostenuto spese funerarie, cure mediche o per l’assistenza familiare. Facciamo colloqui annuali per capire le esigenze e offriamo aiuto concreto».

Come vi restituiscono le somme?
«I dipendenti possono scegliere se e quando restituire il denaro che la Fondazione ha anticipato al loro posto, senza vincoli di rate né di interessi».

Negli anni non è mai successo che il denaro non sia rientrato?
«Le somme sono tornate in cassa circa al 90%, anche 50 euro alla volta. Questo perché chi restituisce il prestito sa che potrà chiedere di nuovo aiuto alla Fondazione oppure che quei soldi possono servire a qualcun altro. Il nostro approccio dimostra che un’azienda può unire umanità e famiglia, andando oltre il semplice profitto».

Avete realizzato anche progetti più ampi…
«Sì, come la costruzione di due scuole in Madagascar e una piccola fabbrica donata alla Fondazione Rava in un ospedale di Haiti, insegnando a produrre creme spalmabili e fornendo materiali».

Siete una delle 10mila aziende al mondo ad aver ottenuto nel 2016 il certificate B-corp. Di che cosa si tratta?
«È una certificazione di sostenibilità rilasciata dall’organizzazione internazionale no profit B Lab, con sede a Wayne, in Pennsylvania, che misura l’intera performance sociale e ambientale di un’azienda: il modello di business, la trasparenza, l’etica, il trattamento dei lavoratori, la relazione con la comunità, l’impatto sull’ambiente e sui clienti».

Ci sono nuovi progetti in vista?
«Entro un anno porteremo i nostri prodotti sulla Stazione spaziale internazionale. È un progetto ambizioso, che comporta sfide complesse per nutrire gli astronauti in assenza di gravità. Pensate a cosa vuol dire aprire una bustina nello spazio senza disperdere tutto: è un esercizio di precisione estrema. E questa sfida ci spinge a migliorare le nostre performance. Creare un packaging adatto allo spazio, dove non ci sono rifiuti eliminabili, significa innovare per tutti. Perché, a volte, il vero gusto sta nel togliere tutto ciò che è superfluo, lasciando solo l’essenza di ciò che conta davvero».