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Si dice di andare al mare per respirare lo iodio, ma è davvero piccola la quantità che evapora dall’acqua. Il minerale si mangia. Eppure, la carenza nutrizionale è allarmante, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, e la conseguenza è il gozzo nodulare, ossia la tiroide ingrossata e che forma noduli.
Per non andare in deficit basterebbe usare il sale iodato, come raccomanda il ministero della Salute: con 5 grammi al giorno si soddisfano le necessità quotidiane di iodio di un adulto (150 microgrammi). Non ha odore, non altera il gusto dei cibi. È un condimento della salute, ma naturalmente non bisogna superare la dose consigliata, perché un consumo eccessivo di sodio aumenta il rischio cardiovascolare.
«Lo iodio rappresenta il “mattone” fondamentale per la sintesi degli ormoni tiroidei», dice Laura Fugazzola, direttrice dell’unità di Endocrinologia dell’ospedale Santi Paolo e Carlo di Milano, docente ordinaria all’Università degli Studi di Milano e presidente della European thyroid association. «Se l’apporto è insufficiente, la ghiandola è costretta a intensificare la propria attività per mantenere i livelli ormonali adeguati. Nel tempo, questo sovraccarico funzionale può favorire la formazione di noduli».
Si ritiene che la maggiore incidenza tra le donne sia dovuta proprio a questo meccanismo. Una su due, dopo i 50 anni, presenta noduli tiroidei. «Gli estrogeni femminili aumentano l’escrezione urinaria di iodio, provocando una lieve carenza che rende la tiroide più vulnerabile», continua Fugazzola. «La crescita dei noduli è molto lenta ed è per questo che tendono a manifestarsi clinicamente solo dopo i 50, anche se la loro comparsa risale a molti anni prima».
Carote e patate arricchite
Per evitare la carenza di iodio, si possono mangiare pesci, molluschi e crostacei, gli alimenti con le concentrazioni maggiori: una porzione da 150 grammi di platessa o di gamberi si avvicina a coprire il fabbisogno giornaliero di un adulto. Anche le alghe lo possiedono.
E verdura, cereali e frutta? Ne contengono poco. Molto più abbondante la quota nelle carote arricchite e nelle patate iodate (che contengono 50-100 microgrammi per porzione da 200 grammi). L’apporto di uova e carni è modesto, mentre è discreto quello del latte (circa 10-20 microgrammi per 100 millilitri).
I sintomi dei noduli tiroidei
«L’incidenza dei noduli tiroidei aumenta in generale con l’età», spiega l’esperta, «anche se negli uomini la frequenza è decisamente più bassa, stimata tra il 5% e il 10%». La buona notizia è che, a differenza di quanto accade in altri organi del corpo, la presenza di un nodulo alla tiroide raramente indica una patologia tumorale. «Nel 95-97% dei casi si tratta di formazioni benigne, prive di implicazioni oncologiche», precisa Fugazzola.
Spesso non provocano sintomi evidenti. Talvolta, invece, possono iniziare a produrre ormoni tiroidei in autonomia, senza essere più regolati dal TSH, l’ormone ipofisario che normalmente ne controlla l’attività. «In queste situazioni si parla di noduli tossici o iperfunzionanti», dice Fugazzola. «Possono portare a ipertiroidismo, di solito lieve, ma comunque in grado di provocare sintomi come tachicardia, nervosismo o perdita di peso».
Un’altra situazione in cui i noduli possono diventare sintomatici è quando raggiungono dimensioni superiori ai 4-5 centimetri. «Possono addirittura spostare o comprimere la trachea, causando sintomi come difficoltà respiratorie o sensazione di fastidio alla gola», dice l’esperta.
L’ecografia e l’agoaspirato
Il primo step di valutazione è l’ecografia tiroidea, esame non invasivo. Se si trovano noduli sospetti si prescrive l’agoaspirato, che si esegue inserendo un ago molto sottile direttamente nel nodulo, per prelevarne alcune cellule da analizzare al microscopio. L’intervento dura meno di un minuto, non richiede anestesia e il dolore è paragonabile a quello di un esame del sangue.
Oltre alla carenza di iodio e ad altre cause ambientali, i noduli tiroidei possono essere dovuti anche a fattori predisponenti. Alcune persone presentano una predisposizione genetica, tanto che si osservano intere famiglie con più casi di gozzo nodulare.
Per i noduli benigni non problematici l’approccio è la sorveglianza attiva, con controlli ecografici periodici per monitorarne l’evoluzione. «Quando invece diventano più voluminosi e causano fastidio, si può prendere in considerazione una terapia mininvasiva, come la termoablazione», racconta l’esperta. In pratica, il nodulo viene “bruciato”, riducendone il volume anche del 60-70%.
La compressa risolutiva
«Nei noduli iperfunzionanti, la terapia di prima scelta è il trattamento radiometabolico con iodio radioattivo», riprende Fugazzola. «Consiste nella somministrazione orale di una singola compressa contenente iodio radioattivo, da assumere in ospedale».
L’effetto del trattamento porta a una progressiva riduzione del volume nodulare – fino al 50% – e alla normalizzazione della funzione tiroidea, con la risoluzione dell’ipertiroidismo generalmente entro un mese.
Se tutte queste opzioni non sono praticabili oppure in presenza di noduli maligni, si ricorre alla chirurgia.