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La convinzione che i cibi che una persona mangia potessero aumentare o ridurre i livelli di colesterolo all’inizio era controversa, ma oggi non ci sono dubbi. Più che singoli alimenti, gli esperti consigliano un’alimentazione nell’insieme sana. La dieta non dovrebbe essere una tortura o un regime che dura un mese, ma un modello che si segue per tutta la vita. In questo senso, uno dei cambiamenti più importanti che si possono fare è quello di aderire alla dieta mediterranea, dando la priorità alle fonti vegetali.
La prima cosa è ridurre un certo tipo di grassi: saturi e trans. Ben prima che alle uova, si pensi a tagliare l’eccesso di salumi, di carne rossa e lavorata, di certi formaggi, di condimenti come la panna da cucina e il burro, di patatine fritte e di brioche con l’olio di palma.
A caccia di grassi buoni
Se i grassi saturi e i grassi trans (o idrogenati) in quantità esagerate favoriscono l’incremento dei livelli di colesterolo e di trigliceridi nel sangue, nonché l’aumento dello stato infiammatorio dell’organismo, i grassi insaturi dell’olio extravergine d’oliva o del pesce fanno l’esatto contrario.
Insomma, ci sono grassi e grassi. Per distinguere tra buoni e meno buoni, è utile considerare le strutture chimiche. Gli acidi grassi saturi hanno una conformazione lineare e rigida che permette loro di compattarsi e di essere solidi a temperatura ambiente: sono presenti in maggiori quantità in alimenti di origine animale, come burro, strutto, panna, formaggi, carni grasse, insaccati e carni conservate, e in alcuni condimenti vegetali molto usati nei prodotti industriali, come olio di palma e di cocco.
Gli acidi grassi insaturi possiedono una struttura che si può definire spezzata, tale da renderli liquidi a temperatura ambiente: sono contenuti, oltre che nel pesce grasso (come salmone, tonno fresco, pesce azzurro), soprattutto in frutta a guscio, olio extravergine d’oliva, oli di semi spremuti a freddo e semi oleosi. A loro volta gli insaturi sono divisi in monoinsaturi e polinsaturi, a cui appartengono gli omega3, giustamente lodati nella letteratura scientifica, e distribuiti nella tavola mediterranea dallo sgombro alle noci.
I grassi saturi andrebbero contenuti entro un tetto del 10% del fabbisogno calorico quotidiano e il restante 15-20% dovrebbe essere costituito da monoinsaturi e polinsaturi.
In sintesi, bisogna puntare su un’alimentazione con ingredienti più naturali e meno prodotti industriali, con una forte base vegetale, a partire dai condimenti, e con un paio di porzioni settimanali di pesce per chi non sia vegetariano.
I fitosteroli della soia
Anche i fitosteroli sono un’arma contro il colesterolo. Questi lipidi si trovano in legumi, cereali integrali, semi e frutta a guscio, olio extravergine d’oliva.
Nella nostra pancia si crea una specie di competizione tra i fitosteroli, che sono tipici delle piante, e il colesterolo, che è uno zoosterolo e proviene dalle fonti animali.
Nei recettori intestinali i fitosteroli prendono il posto del colesterolo, che verrà quindi assorbito in modo minore. Non solo: le ricerche suggeriscono che gli steroli vegetali frenino anche la produzione di colesterolo da parte del fegato.
Tra i legumi, la soia ha destato un interesse speciale, nato da uno studio comparato sulle abitudini alimentari per capire come mai il tasso di mortalità in America per malattie cardiovascolari fosse doppio rispetto a quello della popolazione giapponese, dove si consuma molta soia. Sono stati analizzati allora gli effetti del legume sui livelli lipidici nel sangue e le conclusioni sono state che consumare 47 grammi di proteine di soia al giorno può ridurre i trigliceridi del 10,5% e il colesterolo totale del 9,3%.
La soia, che non è tra le usanze mediterranee ma che è stata adottata dalle culture orientali, si può trovare come germogli, fagioli o trasformata in bevande a base di soia, yogurt, tofu. Si classifica al primo posto tra i legumi per il suo contenuto di proteine, cioè 36 grammi ogni 100 di prodotto, e per di più ha il bouquet completo di amminoacidi essenziali, cioè dei mattoni necessari per fabbricare le proteine.
E il timore che provochi tumore al seno? Le sue molecole più discusse in questo senso sono gli isoflavoni, che vengono definiti fitoestrogeni perché hanno una struttura chimica simile a quella degli estrogeni. Siccome è noto che gli ormoni sessuali femminili sono implicati nella progressione di alcuni tipi di cancro, è montata la preoccupazione, ma gli studi ormai hanno smontato la tesi: il consumo non aumenta il rischio di tumore al seno. Eventuali pericoli si avrebbero semmai con l’uso indiscriminato degli isoflavoni estratti dalla soia e concentrati nei supplementi, prescritti soprattutto per attenuare i sintomi della menopausa, tanto che il ministero della Salute ha fissato una dose massima di isoflavoni che può essere presente all’interno degli integratori alimentari.
La posizione del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro, basata sui dati osservazionali e clinici, è che il consumo moderato di fagioli di soia e alimenti derivati non rappresenta un rischio per le donne con una storia di tumore al seno. Anzi, il consumo potrebbe ridurre la possibilità di recidive.
Le fibre, una trappola
Assumere molte fibre nella dieta, qualcosa che molti italiani non fanno, è determinante: la fibra solubile può legarsi al colesterolo alimentare ed eliminarlo dal corpo.
Per procurarsela, si consiglia di consumare i legumi da due a quattro volte la settimana, 2-3 porzioni di verdure e un paio di frutta al giorno, frutta a guscio e cereali integrali, dal pane alla pasta.
Orzo e avena, in particolare, contengono betaglucani, fibre in grado di ridurre l’assorbimento intestinale di colesterolo.
Dissolvendosi in acqua, la fibra solubile crea un gel, che intrappola parte del colesterolo presente nell’intestino e lo trascina nel suo percorso verso l’espulsione, invece di essere assimilato ed entrare in circolazione.
La pappetta fibrosa è capace pure di acchiappare gli acidi biliari, necessari durante la digestione dei grassi. Dovendo sostituire questi acidi biliari persi, il fegato ne produce di più, con un processo di fabbricazione che richiede proprio l’uso di colesterolo, abbassando di conseguenza quello legato alle Ldl in circolazione.
Non finisce qui. La fibra nutre diverse specie di batteri del nostro microbiota, i quali la fermentano producendo acidi grassi a catena corta, che sono protettivi per il colon e a loro volta possono ridurre i livelli di colesterolo.
Il risultato per la salute è apprezzabile e immediato in chi segue una dieta bilanciata, ma non sarà sufficiente per sostituire i farmaci nei pazienti che hanno bisogno di abbassare le Ldl in maniera importante per evitare rischi cardiaci.
Per tutti, comunque, anche come prevenzione del tumore del colon-retto, è consigliata l’assunzione con i cibi di circa 30 grammi al giorno di fibre alimentari delle due varietà, solubile e insolubile.
Anche gli integratori possono aiutare, come il seme di psillio macinato, fonte utile di fibra solubile, che può ridurre i livelli di Ldl.
Per chi non sia avvezzo al consumo di fibra, il consiglio è di introdurre in maniera graduale cereali integrali, verdure e legumi. Altrettanto importante è bere acqua.
Gli studi sull’avocado
Una curiosità riguarda l’avocado. Dalle ricerche è emerso un impatto positivo del consumo sul colesterolo alto. Un lavoro ponderoso, nato dall’esame di trent’anni di dati riferiti a oltre 110mila persone, è stato portato avanti dall’Università di Harvard (e pubblicato sul Journal of the American Heart Association): la conclusione dell’indagine è che il consumo costante di avocado sarebbe associato alla riduzione della probabilità di subire infarto e ictus. Non è matematica, sia chiaro. Il frutto verde ha molti grassi insaturi buoni, ma è calorico, quindi non bisogna esagerare. Ripeto, non c’è un singolo alimento magico.


Il testo è tratto dal libro Il cuore ha sempre ragione (collana Scienze per la vita di Sonzogno), del cardiochirurgo Giulio Pompilio, direttore scientifico del Centro Cardiologico Monzino di Milano.