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Il primo a parlarne fu Ippocrate, che nel Libro delle diete scriveva come l’equitazione fosse utile per calmare l’ansia, e dopo di lui fu Asclepiade di Prusa a scrivere che il cavallo era una terapia utile contro l’epilessia. E poi Galeno di Pergamo, il chimico Georg Stahl, il biologo Friedric Hoffmann, per citare solo alcuni che sostennero, nel corso dei secoli, l’idea dell’esercizio equestre come terapia.
Del resto, il cavallo, ha annotato in tempi più recenti la studiosa Maria Luisa Felici, «grazie alla sua sensibilità, alla sua stessa immagine che stimola l’attaccamento emozionale da parte del paziente in uno scambio reciproco di dare e avere, attua su più livelli il recupero del paziente». Un animale magnifico e nobile spesso associato a caratteri divinatori, o magici - si pensi agli unicorni, ai centauri - e che evoca sentimenti di bellezza e libertà.
La ricerca scientifica dell’Università di Torino
«C’è stato un tempo», dice Francesca Bisacco, «in cui chiunque possedesse un cavallo aveva la possibilità di offrire l’ippoterapia, prima che la materia venisse normata. Oggi esistono delle linee guida nazionali». Bisacco, biologa, ha conseguito un master universitario in Pet therapy e si dedica agli interventi assistiti con i cavalli, svolgendo ricerca scientifica in collaborazione con l’Università di Torino. Nel 2006 ha fondato l’Associazione Rubens, di cui è direttrice e in cui coordina un’équipe di 13 professionisti attivi in Borgo Rubens, nel Parco naturale di Superga.
Gli interventi assistiti con animali, dal 2015 sul portale del ministero della Salute, stabiliscono le regole per il loro svolgimento. Per esempio, l’ippoterapia giova ai bambini con disturbo dello spettro autistico o con sindrome di Down.
Si crea una relazione agevolata dal terapeuta
«Lavoriamo con i cavalli da vent’anni», racconta Bisacco. «Prima ho svolto dei test in collaborazione con l’Università, su un gruppo di 24 pazienti con problemi psichiatrici. Volevamo misurare diversi parametri in queste persone, come la percezione della qualità della propria vita, la capacità di relazione con l’altro, e il desiderio di farlo. Desiderio è una parola importante perché implica il fatto che il paziente riconosca un altro da sé e poi decida di entrare in relazione con lui. In questo caso il “mediatore” è il cavallo, che richiede una modifica dell’atteggiamento mentale e corporeo. Il paziente, per entrare in relazione con l’animale, supera i suoi limiti e cerca un linguaggio. Da qui parte il cambiamento e il terapeuta, figura fondamentale, lavora per cambiare i comportamenti fino a quel momento disfunzionali».
Dice il papà (preferisce restare anonimo) di Alessandro, una diagnosi di autismo a tre anni: «Parlammo con la neuropsichiatra della possibilità di far fare a nostro figlio riabilitazione equestre in un centro nella zona di Mirafiori Sud a Torino. Cominciammo con dei giri guidati, a cui seguirono esercizi, sempre a dorso del cavallo. A un certo punto, notammo un miglioramento dell’attenzione e una migliore capacità di relazione fino a quando poi, col terapeuta, spazzolavano insieme il cavallo. Interrompemmo quell’attività per farne altre, ma ogni tanto Alessandro, che oggi ha 18 anni ed è un ragazzino con un suo equilibrio, chiese di rifarla».
Storie difficili, ma che invitano a sperare.