Sant’Agostino diceva che la speranza ha due figli gemelli: l’indignazione e il coraggio. Se non si provasse sdegno per le ingiustizie, non sapremmo mai riconoscere le prevaricazioni e l’abuso di potere, e senza il coraggio non riusciremmo mai a dire “no” ai soprusi e all’arroganza.
Ma cosa è esattamente il coraggio? Non è solo quello dell’eroe che combatte contro la violenza cieca dei totalitarismi o che mette a rischio la propria incolumità per salvare una persona dalle macerie di un cataclisma. Oppure di colui che in nome dei valori arriva a sacrificare la propria vita per il bene comune. Il coraggio si rivela anche nei piccoli gesti della gente comune, in chi si ribella alla prepotenza nei confronti delle persone più fragili, in quella più odiosa verso i bambini o gli anziani. Un gesto di coraggio è anche quello di chi non si rassegna all’indifferenza di fronte al collega vittima di mobbing o al conformismo dei tempi correnti.

La rassegna dal 6 all’8 giugno
Quando ci siamo trovate a scegliere la parola che facesse da filo rosso per la prima edizione di Seminare idee, un festival dal 6 all’8 giugno a Prato di approfondimento e condivisione culturale, la parola “coraggio” ci è sembrata la più adatta. Perché è una parola che appartiene a tutte e a tutti.
Il coraggio è una cosa con cui si nasce, oppure il coraggio - come diceva Don Abbondio nei Promessi Sposi - non te lo puoi dare, non lo puoi apprendere? Come racconta l’autore best seller Roberto Saviano, che con lo scrittore due volte Premio Strega Sandro Veronesi aprirà il festival, «molte persone apparentemente sprovviste dell’indole dell’ingaggio si sono poi trovate a scegliere indipendentemente dalle conseguenze. Coraggio, quindi, è scegliere e raccogliere su di sé la responsabilità della scelta».
Noi siamo in grado di migliorare il nostro futuro, di renderlo più equo, ma possiamo farlo solo attraverso un’educazione mirata al comportamento, soprattutto delle nuove generazioni, e siamo chiamati alla responsabilità di farlo.
Per esempio, gli adolescenti di coraggio ne devono avere tanto per crescere, spiega lo psicoanalista Massimo Ammaniti, anche lui ospite al festival e autore del libro I paradossi degli adolescenti (Raffaello Cortina): «È un percorso accidentato che richiede coraggio ma anche un desiderio di esplorare nuovi territori di se stessi e delle relazioni con gli altri. In primo luogo, il corpo si trasforma obbligando a cambiare profondamente l’immagine di sé. E poi il distacco delle sicurezze dell’infanzia per entrare in un mondo inconoscibile, in cui si deve confrontare col gruppo dei coetanei, sapendo al fine di trovare una propria direzione».

Sete di conoscenza
Sì, perché il coraggio è ciò che distingue l’umanità. Così come la distingue l’uso della parola. Allora coraggio può significare non solo difendere i diritti fondamentali come quello sacrosanto della libertà, ma può anche voler dire porsi sempre domande, con sete e voglia di conoscenza per essere sempre consapevoli di quanto succede nel mondo che ci circonda, la speranza che si possa raggiungere uno stato di benessere per sé e per gli altri.
Noi siamo innanzitutto, come specie, esseri sociali. La fisica e la chimica ci dicono che alla base della vita c’è il Dna. Ma conoscere il Dna e la sua struttura non basta per descrivere la realtà che ci circonda.
«Il nostro io biologico non può prescindere dall’ambiente in cui è immerso», spiega il neurologo Gianvito Martino, direttore scientifico dell’ospedale San Raffaele di Milano. «Tra i fattori ambientali in grado di modificare la funzione del Dna tramite l’epigenetica, sono stati inclusi, ultimamente, anche eventi di tipo psicosociale che generano stress: dallo stress fisico e psicologico a quello finanziario». Ma la scienza ha rilevato che anche le modifiche funzionali del Dna di tipo epigenetico si ereditano. «Non solo, quindi, ereditiamo la forma fisica», continua Martino, «ma anche il modo con cui affrontiamo i vari tipi di stress psicosociale. Da questo ne consegue che non siamo predestinati, non tutto è scritto nel Dna. Limitati sì, predestinati no».

Il bisogno di invocare la pace
Con i nostri comportamenti siamo responsabili del nostro destino e dobbiamo avere il coraggio di conoscere come funzioniamo come specie umana, di avere più consapevolezza.
Il coraggio ha tanti volti, non è assenza di paura ma volontà di combatterla, perché se la paura può essere contagiosa, anche il coraggio lo è. E il coraggio è dire no alla paura ma anche dire sì ai desideri e ai sogni. Il content creator Davide Avolio, seguitissimo sui social, ricorda l’etimologia, dal latino cor agere, per ribaltarne il significato comune. «Non è la spavalderia della sfrontatezza», dice, «ma la forza di scegliere la misura invece dell’eccesso, la parola invece della violenza».
In tempi di guerra dobbiamo essere consapevoli del peso delle parole, come ha dichiarato Papa Francesco: le parole vanno disarmate, per disarmare i pensieri, per disarmare la guerra. E lo storico e fondatore della Comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi, che chiuderà il festival di Prato, ha ribadito in tante occasioni: «Serve il coraggio della pace. Sono pochi ad averlo. Conflitti aperti da anni si trascinano nell’indifferenza delle opinioni pubbliche. A volte gli sforzi di pochi (troppo pochi!) vengono derisi. Per fare la pace ci vuole coraggio, ci vogliono le parole della pace che nascono da cultura e visioni attente alle vicende di ogni popolo». Coraggio deriva da coratum, forma popolare della parola cuore, e da cor habeo, avere cuore, ed è la parola seminale scelta su cui riflettere, perché il coraggio è dell’intelligenza e del cuore.