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Glass tears, di Man Ray: la foto, insieme ad altre 300 opere del grande artista americano, è esposta nella mostra retrospettiva Man Ray. Forme di luce, allestita fino all’11 gennaio presso Palazzo Reale a Milano.
Uno studio affascinante ha scoperto che le lacrime delle donne contengono un segnale chimico che, percepito dal sistema olfattivo maschile, riduce l’aggressività negli uomini del 43,7% (su Plos Biology). Questo suggerisce che le lacrime abbiano un impatto sociale e comunicativo. Attivano anche processi che favoriscono il benessere psicologico, come se sciogliessero il dolore. Non dovrebbero mai essere soffocate.
Il pianto rappresenta una forma naturale di riequilibrio emotivo. Ed è un errore bloccare un bambino e dirgli: «Non piangere come una femminuccia». Eppure, la cultura contemporanea tende a stigmatizzare le lacrime come segno di debolezza. Fin dall’infanzia viene insegnato a trattenerle. Non è raro che, durante una seduta terapeutica, una persona si scusi per aver ceduto al pianto, come se fosse una colpa. In realtà, piangere non è un fallimento: il sistema limbico, la parte del cervello che governa le emozioni, può essere sollecitato da stimoli quotidiani – una parola, un profumo, una fotografia – e liberare sentimenti altrimenti repressi.
«Abbiamo tutti i nostri momenti di debolezza, e per fortuna siamo ancora capaci di piangere. Il pianto spesso è una salvezza: ci sono circostanze in cui moriremmo se non piangessimo», scriveva José Saramago, che nel romanzo Cecità immaginava un’umanità improvvisamente privata della vista. Il pianto, al contrario, restituisce visione: è un modo di “vedere dentro”, di riconoscere e sciogliere nodi interiori che rischierebbero di diventare tossici.
Un laboratorio biochimico
Le lacrime emozionali – diverse da quelle basali che mantengono umida la superficie oculare o da quelle riflesse che proteggono da polveri e irritanti – sono un fluido ricco di significati e di sostanze attive. Quando sgorgano, liberano endorfine e ossitocina, neurotrasmettitori associati a calma e benessere, con proprietà antiossidanti che proteggono le cellule dall’invecchiamento precoce. Durante il pianto si attiva anche la produzione di ossido nitrico, un mediatore che favorisce la vasodilatazione, la comunicazione tra le cellule e la corretta funzione del sistema immunitario. Ecco perché, dopo aver pianto, il volto appare più disteso e fresco, la mente più chiara.
Perché lo facciamo
Le ragioni per cui si piange sono molteplici: dolore, gioia, nostalgia, rabbia, gratitudine. La scrittrice americana Heather Christle, ne Il libro delle lacrime (Il Saggiatore), ha provato a tracciare una mappa personale di questi momenti. «Piangiamo per un amore che finisce, per un figlio che nasce, davanti a una fotografia o a una musica», scrive. «A volte senza motivo apparente. Ma ogni lacrima racconta qualcosa di noi e del nostro tempo».
Questa dimensione simbolica accompagna l’umanità da millenni. Nell’antica Roma, e poi nell’Inghilterra vittoriana, era diffusa l’usanza dei lacrimatoi: piccole ampolle di vetro in cui si raccoglievano le lacrime di lutto, da deporre sulle tombe o conservare fino a quando il dolore si fosse trasformato in memoria. Un rito che aiutava a elaborare la perdita e a segnare il passaggio verso una nuova stagione della vita.
Piangere non è un difetto ma un atto di forza biologica e psichica. È un linguaggio che attraversa corpo e anima, attenua le tensioni, rinforza il sistema immunitario e riapre la capacità di guardare con occhi limpidi. In un tempo che esalta il controllo e la resilienza, le lacrime ricordano che la vulnerabilità è una risorsa: un dono che scioglie il dolore e restituisce al mondo un volto rinnovato.







