È arrivato il primo farmaco per trattare le macchie chiare della vitiligine, la malattia cronica nella quale il sistema immunitario attacca per errore i melanociti, le cellule incaricate di produrre il pigmento che dà il colore alla pelle, la melanina. Il farmaco,
in crema, è l’Opzelura e il suo principio attivo è il ruxolitinib, già usato per via orale in altre patologie.

La pomata
«Il principio attivo ruxolitinib blocca la risposta autoimmune che porta alla distruzione dei melanociti», spiega Mauro Picardo, ricercatore clinico presso l’Istituto Dermopatico Immacolata di Roma e coordinatore della task force per la vitiligine istituita dalla Sidemast, la Società italiana di dermatologia e malattie sessualmente trasmesse. «La pomata può essere prescritta per la cosiddetta vitiligine non segmentale, la più comune, con coinvolgimento del viso, già a partire dai 12 anni. Occorrono cinque-sei mesi di terapia per iniziare a vedere una ripigmentazione, la cui entità dipende da fattori come la capacità rigenerativa individuale».

La fototerapia
Finora il trattamento di riferimento è stata la fototerapia, cui è stata associato l’uso di cortisonici topici o sistemici oppure
di inibitori della calcineurina.

La diagnosi precoce
«In Italia la vitiligine, che esordisce di solito sotto i 30 anni, colpisce tra lo 0,55% e l’1,5% della popolazione», dice Picardo. «Importantissimo rivolgersi a un dermatologo ai primi segnali,
per cercare di arrestarne l’evoluzione. La vitiligine va oltre il problema estetico, con chiazze chiare che possono interessare qualsiasi parte del corpo, inclusi viso, mani e gambe, e si può associare ad ansia e depressione».

Le cause
«Una familiarità si riscontra nel 25-30% dei casi, ma la vitiligine non è associata a un difetto genetico ereditabile: si trasmette
una predisposizione», dice Picardo. «A scatenarla possono essere gli stress fisici o psicologici, come un lutto, ed è possibile l’associazione con altre malattie autoimmuni, quali la celiachia, e con una carenza di vitamine».