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Emanuela De Giorgi col figlio Cesare, guarito dalla sindrome di Guillain-Barré, e il marito Francesco Sforza (foto di Sakis Lalas)
Nell’estate del 2014, tra gli assolati lidi salentini, un bambino di tre anni compie una vera maratona tra le gambe dei bagnanti, corre come il vento da una spiaggia all’altra. È mio figlio, Cesare Sforza, ma qui tutti lo chiamano il «bambino che corre» perché non fa altro che scappare dappertutto libero e felice. Stiamo tutto il tempo a inseguirlo sia io che il suo papà, Francesco, per evitare che finisca per perdersi in queste lunghissime corse infinite sul bagnasciuga.
Settembre, si rientra a Lecce e all’asilo. Ai primi di marzo del 2015, Cesare una mattina si sveglia e mi dice: «Mamma, ho male alle gambine». Resto stupita di fronte al «bambino che corre» che quella mattina stenta a stare in piedi. Sta succedendo qualcosa…
È iniziato così, all’improvviso. Il mio piccolo Cesare, che fino a quel momento non stava mai fermo, all’improvviso inizia a lamentare dolori alle gambe, ai piedi e, dopo qualche giorno, anche alle mani. Pensiamo a una sorta di stanchezza, postumi della sua irrequietezza continua, quindi temporeggio perché durante le altre ore sembra stare meglio. Poi però un pomeriggio vedo che contrae il viso: fa un brutto ghigno e lo ripete anche mentre gioca. Mi accorgo che è una contrazione involontaria che compare anche nel sonno.
Quando mostra anche difficoltà a deglutire chiamo subito la pediatra. Mi fido molto di lei, la dottoressa Lorella Rizzo: capisco subito dal suo sguardo che il problema è serio, tanto che mi consiglia di portarlo in ospedale. Andiamo quindi all’ospedale di Casarano dove, dopo tempestivi controlli al pronto soccorso, Cesare è preso in carico dal direttore della Pediatria di allora, Alessandro Tronci. Gli accertamenti, la Tac alla testa e vari esami escludono danni neurologici.
La diagnosi, dopo una puntura lombare chiamata rachicentesi. «Cesare», mi spiegano, «ha la sindrome di Guillain-Barré». Questa malattia che non sapevo neanche esistesse sta compromettendo il corpo di mio figlio. Galoppa: Cesare ora ha anche un occhio semichiuso che non riesce più a governare, sembra avere delle paresi sparse, non riesce a mangiare. Un incubo.
Una patologia seria
Mi spiegano che questa malattia viene per l’aggressione di un virus al sistema nervoso dopo una banale influenza. È vero, Cesare ne ha avute due di recente, ma come tanti altri compagni di scuola. Eppure… Più precisamente capiscono che il colpevole è il citomegalovirus che, all’improvviso, può superare la barriera neuroprotettiva e attaccare le cellule neurologiche. Spesso è un virus silente, ma in alcuni rari casi diventa aggressivo e distrugge ogni equilibrio.
Mi chiedo quindi, che cosa succederà ora al mio bambino. La patologia è seria e arriva la notizia che una mamma non vorrebbe mai sentire: Cesare, il «bambino che corre», forse non potrà più riprendere a camminare. Mi manca l’aria, non può essere…
Subito la trasfusione
Intanto immediatamente gli somministrano delle sacche di immunoglobuline. Per 36 ore, senza sosta. Solitamente la cura più adatta è una plasmaferesi, una sorta di lavaggio del sangue piuttosto invasiva, però a Casarano non sono in grado di farla. Nella notte dispongono un trasferimento urgente a Bari all’ospedale pediatrico Giovanni XXIII.
Andiamo in ambulanza sempre con la flebo al braccio con le immunoglobuline, Cesare viene idratato di continuo anche nell’occhio che ormai non si chiude più: non lo lasciano solo un istante. Il mio bambino non usa più né gambe né braccia, non è più autonomo neanche per le funzioni fisiologiche come nutrirsi o urinare.
Dopo l’accettazione in ospedale, monitorandolo subito, notano la reazione alle immunoglobuline. Così si fermano, aspettano, completano le cure e capiscono di poter evitare la plasmaferesi. Il vento sta cambiando, lo sento dentro.
Ricoverato dal 13 al 21 marzo 2015, dopo pochi giorni a Bari Cesare è in piedi e muove i primi passi. Ricomincio anche io a respirare, piano.
In Neurologia mi dicono che è un miracolo della medicina. Cesare è stato aiutato dalla sua giovane età e dalla sua forza di bambino sano. Quel torello, come lo chiamavo io, sta superando questa sindrome dalla quale spesso non è facile uscire.
Subito dopo siamo stati ricoverati dal 23 marzo al 29 aprile 2015 alla Neuroriabilitazione presso il Centro Nostra Famiglia a Brindisi, un luogo meraviglioso pieno di gente molto umana. Lì ci hanno aiutato con diversi tipi di cure, compreso il supporto psicologico per noi genitori. Ne siamo usciti cresciuti, cambiati per sempre, ma bene.
Oggi Cesare ha quasi 14 anni. Da allora è ritornato a essere il ragazzino attivo di sempre. Questa storia terribile l’ha dimenticata. Ha praticato per anni nuoto, ora gioca a calcio e fa la vita di tutti i suoi coetanei, compreso impigrirsi alla playstation.









