Tutto ha inizio nei giorni di Pasqua, con uno sviluppo inaspettato, perché i sintomi iniziali mi parevano gestibili. Soffrivo solo di un banale raffreddore. Ho pensato: normale acciacco stagionale. E invece… In quel periodo di festività avevo organizzato finalmente un viaggio a New York e il fatto che i sintomi influenzali non passassero mi ha fatto fare la mossa giusta: chiamare un medico. Ho iniziato a prendere l’antibiotico, ma, arrivata al lunedì di Pasqua, facevo sempre più fatica a deglutire. Questo vuol dire aver difficoltà a mangiare, addirittura inghiottire, e una pasta sfoglia era una fatica. Poche ore dopo ho incominciato quasi a non riuscire a deglutire anche i liquidi e quindi ho avuto un po’ di problemi a bere. Dopo il primo giorno di antibiotico la situazione non era per niente migliorata.
Io da sempre sono asmatica, quindi sono molto sensibile al tema del respiro e avevo questa sensazione di soffocamento e di malessere diffuso. Alle due di notte non ce la facevo più e sono andata al pronto soccorso dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano. Ero il classico codice verde, con i miei sintomi influenzali, quindi ho aspettato un’ora e mezza, finché me ne sono andata con una fantastica autodiagnosi. Avevo deciso per conto mio che si trattava di catarro. Sono tornata a casa e ho preso un mucolitico.

«Il medico che mi ha salvata»
La mattina del giorno successivo, il 24 aprile, avevo l’aereo da prendere per New York e questo ha accelerato la consapevolezza del mio stato di salute. Quindi la sera del 23 sono tornata in pronto soccorso dove ho trovato un medico bravissimo, che si chiama Lorenzo Porta e che mi ha subito fermata. Io sono entrata e ho detto: «Domani mattina ho un volo, mi metta in piedi perché io devo andare in vacanza, sono stanca». Lui mi ha fatto degli esami e ha immediatamente chiamato gli otorinolaringoiatri e con grande calma mi ha fatto percepire la gravità del mio caso. Niente partenza. «È nel posto giusto», mi ha detto, «sappiamo cosa fare ma deve fermarsi qui, lei non prenderà nessun volo».
Mi ha fatto monitorare tutta la notte perché aveva la preoccupazione che io non riuscissi più a respirare. Altro che catarro e raffreddore, avevo un ascesso che dalla tonsilla si era espanso fino a prendere i muscoli della gola e questa cosa si manifestava anche nel fatto che io non riuscivo ad aprire la bocca.

Salute e medicina

Ascesso peritonsillare: l’intervento dev’essere immediato

Ascesso peritonsillare: l’intervento dev’essere immediato
Ascesso peritonsillare: l’intervento dev’essere immediato

Parlavo con una voce assurda, stranissima, molto diversa dalla mia. Mi hanno tenuta sotto osservazione quella notte, ogni ora venivano a vedere. Io ovviamente ero un po’ agitata, quindi non sono riuscita a dormire tanto. La mattina sono arrivati gli otorinolaringoiatri e mi hanno inciso con una pinza la tonsilla.

«Poi ho fatto la tonsillectomia»
Mi hanno spiegato che era un ascesso di origine batterica e quindi che si genera come se fosse un accumulo di pus. Non so se sia poi la parola corretta dal punto di vista medico, ma era importante che quel pus venisse fuori e non si diffondesse. Non si doveva creare una via per i batteri dentro il mio corpo. Tant’è che a giugno mi sono tolta le tonsille, perché secondo i medici mi sarebbe successo di nuovo.

Lebano, laureata in Fisica, è vicepresidente della Fondazione Bpm-Banco popolare di Milano e consigliera di amministrazione dell'Associazione Pro ammalati Francesco Vozza onlus (foto di Manuel Cicchetti)
Lebano, laureata in Fisica, è vicepresidente della Fondazione Bpm-Banco popolare di Milano e consigliera di amministrazione dell'Associazione Pro ammalati Francesco Vozza onlus (foto di Manuel Cicchetti)

Lebano, laureata in Fisica, è vicepresidente della Fondazione Bpm-Banco popolare di Milano e consigliera di amministrazione dell'Associazione Pro ammalati Francesco Vozza onlus (foto di Manuel Cicchetti)

Adesso mi è tornato in mente che da piccola avevo avuto un episodio di tonsillite e un anziano dottore mi aveva protetto da un medico un pochettino più motivato, diciamo, dall’operazione privata, non saprei come dirlo in modo più carino, e questo anziano medico mi ha detto: «No, no, no». A mia madre ha spiegato: «Le tonsille sono fatte per stare lì e quindi più tempo riesce a far fare alle tonsille la loro funzione, meglio è».
Evidentemente le mie tonsille, dopo 50 anni, hanno finito di svolgere la loro funzione. Ma toglierle da piccoli è più semplice. Sono dovuti intervenire due volte con un livello di assistenza davvero ottimale, anche da parte del personale infermieristico. Ho trovato medici molto chiari nelle spiegazioni e poi molto scrupolosi. Ringrazio Paolo Schiavo, l’otorinolaringoiatra che mi ha seguita e poi operata.

«Da ricoverata bevevo brodini»
Sono una volontaria dell’Associazione Vozza che si occupa dell’accompagnamento dei malati in ospedale. Per pura casualità si era sparsa la voce che ero al Fatebenefratelli e venivano a salutarmi, regalandomi quelle attenzioni che ogni giorno donano alle persone ricoverate. Il ruolo del volontariato che accompagna i pazienti è molto importante, perché arrivano in orari in cui non possono entrare i familiari, quando si è un po’ più isolati: è una partecipazione umana che chi è impegnato sui turni e deve occuparsi di tutti i malati non riesce magari a fare quanto vorrebbe.
Mentre ero ricoverata, bevevo dei brodini, mi davano delle cose di colori abbastanza omogenei su tutte le tonalità dell’arancione, tutto tritato, perché non potevo deglutire, ma non sono neanche dimagrita, nel senso che ho mangiato una bella quantità di uova in tutte le forme. Dopo cinque giorni abbondanti in ospedale mangiavo tutto, con un po’ di fatica all’inizio.

«La mia startup sulla pace»
Ci tengo a raccontare questa storia perché è positiva. Mi hanno salvato la vita. È una riprova della fiducia che ripongo negli esseri umani. Ho appena fondato una startup, Trending peace, che offre una consulenza aziendale del tutto nuova, per innescare un’etica della pace.
È un dato di fatto: le imprese pagano il prezzo della guerra e il tasso di crescita del Pil mondiale aumenta in proporzione al livello di pace. Ma io credo che le aziende possano adottare strategie per frenare i conflitti tra i Paesi e al loro interno, tra i dipendenti. Dai nostri calcoli e dagli studi emerge chiaramente che cercare la pace, oltre a dare benessere, porta anche a un miglioramento della reputazione e del fatturato.

Testimonianza raccolta da Angelo Miotto