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Chi avrebbe mai pensato che le ore passate sotto le lenzuola potessero influenzare i livelli di zucchero nel sangue? In un’epoca in cui il diabete di tipo 2 rappresenta una delle principali emergenze sanitarie a livello globale, una nuova pista scientifica punta l’attenzione su un fattore spesso trascurato: il sonno.
Le evidenze più recenti indicano che dormire troppo poco (meno di sei ore) o troppo a lungo (più di nove ore), rispetto alle sette-otto ore notturne raccomandate dall’Accademia americana di medicina del sonno, può mandare in tilt il metabolismo del glucosio.
In particolare, un documento di consenso pubblicato nel 2024 dall’Associazione americana di diabetologia (Ada) e dall’Associazione europea per lo studio del diabete (Easd) ha fornito dati allarmanti: per ogni ora di sonno in eccesso o in difetto rispetto alla soglia ottimale, il rischio aumenta dal 9% al 14%.
Il cortisolo va alle stelle
Dell’argomento si è parlato a Panorama Diabete, congresso nazionale della Società italiana di diabetologia che si è svolto lo scorso maggio a Riccione, dove gli esperti hanno definito il sonno come un pilastro della salute metabolica. «A spiegare il legame è una complessa rete di meccanismi neuroendocrini e infiammatori», spiega Gian Paolo Fadini, professore ordinario di Endocrinologia all’Università degli Studi di Padova e consigliere nazionale della Società italiana di diabetologia. «Quando dormiamo poco o male, il corpo interpreta la situazione come una minaccia e attiva il sistema nervoso simpatico, la branca del sistema nervoso autonomo che ci prepara a reagire ai pericoli, stimolando il rilascio di ormoni come l’adrenalina. In parallelo, il sistema endocrino fa rilasciare cortisolo, il noto ormone dello stress. Se quest’ultimo rimane elevato per periodi prolungati, il fegato comincia a produrre più glucosio, mentre le cellule diventano meno sensibili all’insulina. Di conseguenza, si innalzano i livelli di zucchero nel sangue».
Anche l’eccesso di riposo, tuttavia, non è privo di rischi. «L’ipotesi più accreditata è che un sonno prolungato si accompagni spesso a uno stile di vita sedentario, creando il terreno favorevole allo sviluppo del diabete», aggiunge l’esperto.
Il rischio riguarda tutti, ma è particolarmente elevato in chi è predisposto al problema, come le persone con prediabete (quando la glicemia è sopra la norma, ma non ancora ai livelli di una diagnosi clinica), i soggetti con familiarità per il diabete e gli individui in sovrappeso o con obesità, nei quali la sensibilità all’insulina è spesso già ridotta.
Il ruolo dell’infiammazione
Disturbi del sonno e diabete si intrecciano anche a livello infiammatorio. Un riposo insufficiente è associato a un aumento delle citochine pro-infiammatorie, molecole che promuovono l’infiammazione sistemica. «Queste sostanze non solo interferiscono con l’azione dell’insulina», precisa Fadini, «ma compromettono anche il funzionamento di aree cerebrali chiave, come il nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo».
Il nucleo soprachiasmatico, composto da circa 15-20mila neuroni, funge da orologio biologico centrale: sincronizzato con la luce solare, regola ritmi circadiani fondamentali come il sonno, la fame e la secrezione ormonale. «La neuroinfiammazione può alterare questo sistema, peggiorando sia il riposo notturno sia l’equilibrio metabolico, con un impatto diretto sul rischio di diabete», aggiunge l’esperto.
Il peso dello stress
Non è solo questione di “quanto” dormiamo, ma anche di “come”. Oggi la qualità del sonno è definita come la soddisfazione soggettiva rispetto al proprio riposo, includendo fattori come la facilità ad addormentarsi, la profondità del sonno, la durata e la sensazione di ristoro al risveglio. Molti elementi possono comprometterla: stress, utilizzo serale di dispositivi elettronici, menopausa, apnee ostruttive del sonno o sindrome delle gambe senza riposo.
«Negli ultimi cinquant’anni abbiamo perso mediamente circa un’ora di sonno a notte e anche la qualità del riposo è peggiorata», osserva Fadini. «Questi cambiamenti hanno contribuito all’aumento dei casi di diabete di tipo 2. Nelle persone con una qualità del sonno compromessa il rischio relativo può crescere fino all’80%, con un impatto misurabile anche sull’emoglobina glicata, che tende ad aumentare di circa 0,35 punti percentuali».
Un ulteriore elemento da considerare è il cosiddetto cronotipo individuale, ovvero la predisposizione biologica a preferire determinati orari per dormire e svolgere le attività quotidiane. Chi ha un cronotipo mattutino – cioè tende a essere attivo già nelle prime ore del giorno e preferisce andare a dormire presto la sera – presenta generalmente un profilo metabolico più favorevole: livelli di glucosio più stabili, maggiore sensibilità all’insulina e un rischio più basso di sviluppare diabete. Al contrario, chi ha un cronotipo serale – che si attiva più tardi durante la giornata e raggiunge il picco di energia nelle ore serali – mostra spesso un controllo glicemico peggiore, anche a parità di ore dormite. Questo perché i ritmi ritardati possono andare in conflitto con l’alternanza naturale di luce e buio, alterando l’equilibrio ormonale e metabolico dell’organismo.
I neurotrasmettitori chiave
Tra le scoperte più interessanti c’è poi il ruolo dei neurotrasmettitori, le sostanze chimiche che permettono la comunicazione tra le cellule nervose. «Uno di questi è il Gaba, ovvero l’acido gamma-amminobutirrico, noto per le sue proprietà calmanti e per il suo effetto regolatore sul sonno», riferisce Fadini. «Non viene prodotto solo nel cervello: è presente anche nel pancreas, in particolare nelle cellule beta delle isole di Langerhans, le stesse che producono insulina. Questo dato suggerisce un ulteriore legame tra la qualità del sonno e l’equilibrio metabolico».
Un’altra molecola chiave è l’oressina, un neurotrasmettitore che non solo regola il ritmo sonno-veglia ma partecipa anche al controllo del metabolismo del glucosio. Livelli ridotti della sostanza si riscontrano spesso in persone con apnee notturne o depressione, due condizioni molto comuni tra chi soffre di diabete. Questo squilibrio può contribuire sia a peggiorare la qualità del riposo sia a destabilizzare la glicemia.
Un rapporto vicendevole
Il legame, però, è bidirezionale. «Se è vero che le alterazioni del sonno aumentano il rischio di diabete, vale anche il contrario: il diabete può influenzare la qualità del riposo», evidenzia Fadini. «Nei pazienti già diagnosticati, soprattutto in coloro che seguono una terapia insulinica, le ipoglicemie notturne rappresentano un disturbo comune: la caduta dei livelli di glucosio nel sangue può provocare sudorazione, palpitazioni o agitazione, interrompendo il sonno in modo brusco. Anche l’uso dei moderni sensori glicemici continui, pur offrendo un importante supporto terapeutico, può diventare fonte di interruzione del sonno: gli allarmi di sicurezza, attivati da valori troppo alti o troppo bassi, possono svegliare ripetutamente il paziente durante la notte». Infine, nelle persone con diabete è frequente una iper-attivazione del sistema nervoso simpatico, responsabile di uno stato di allerta che rende difficile addormentarsi e favorisce risvegli precoci, con conseguente riduzione della durata e della qualità del sonno.