Il diabete di tipo 2 non compare all’improvviso. Arriva dopo anni in cui la glicemia non è ancora altissima, ma si presenta oltre il livello di guardia. Quando ci sono troppi zuccheri nel sangue, diventano molto più alte le possibilità di sviluppare la malattia.
Da qualche mese però una piccola rivoluzione nella diagnosi promette di cambiare lo stato di salute di milioni di persone. È stato formulato il nuovo test rapido per scoprire il prediabete e abbassare quel 60% di probabilità in più di andare incontro al diabete di tipo 2. Lo ha sperimentato un gruppo internazionale di ricercatori, provenienti da 15 Paesi, al quale hanno partecipato anche medici italiani. I nuovi criteri, pubblicati nel marzo 2024 (dall’International diabetes federation), sono in grado di diagnosticare il prediabete con almeno due anni di anticipo rispetto ai test condotti finora, offrendo quindi la possibilità di impegnarsi, con dieta e attività motoria, a ridurre i picchi di zuccheri.

Le analisi ematiche dai 35 anni
Per prima cosa bisognerebbe fare con regolarità gli esami del sangue e misurare la glicemia a digiuno a partire dai 35 anni. Se i valori sono sospetti (sopra i 100 milligrammi per decilitro), il medico invita a fare la curva da carico di glucosio (in sigla Ogtt, Oral glucose tolerance test). Quel che hanno scoperto i ricercatori è che una nuova misurazione di quella curva individua alterazioni significative in persone che altrimenti non saprebbero mai di essere in condizioni di rischio.

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Per spiegare meglio, partiamo da come si fa il test. Dopo un prelievo di sangue a digiuno, per ottenere la glicemia basale si somministra una bevanda contenente 75 grammi di glucosio. Prima si ripeteva il prelievo dopo due ore, per capire come l’organismo smaltisce gli zuccheri. Il nuovo test rapido introduce invece un prelievo dopo una sola ora dall’assunzione del glucosio: ribattezzata mini-curva glicemica, è in grado di diagnosticare un eventuale prediabete rispetto alla curva glicemica rilevata solo dopo due ore.

Chi deve monitorare i livelli di glucosio
La fase definita prediabete, che aumenta del 60% il rischio di incorrere nel diabete, è caratterizzata da livelli di glucosio nel sangue superiori alla norma ma non patologici. Il primo step è misurare la glicemia nel sangue con le analisi ematiche di routine a partire dai 35 anni, come raccomandano le linee guida dell’American diabetes association. In caso di glicemia a digiuno fra 100 e 125 milligrammi per decilitro, è consigliabile fare il test per la curva da carico di glucosio. I fattori che rendono a maggiore rischio di prediabete sono:
• essere nati sottopeso o sovrappeso
• avere genitori o fratelli con diabete
• avere il colesterolo “buono” Hdl basso e i trigliceridi alti
• avere una circonferenza addominale superiore agli 80 centimetri nelle donne e a 94 negli uomini
• essere in sovrappeso o con obesità
• avere malattie cardiovascolari
• avere pressione alta o essere in terapia con farmaci ipertensivi
• essere sedentari
• avere avuto il diabete gestazionale (donne).
Il prediabete si ha quando la glicemia a digiuno è fra 100 e 125 mg/dl o se l’emoglobina glicata, che indica l’andamento della glicemia negli ultimi due-tre mesi, è compresa fra il 5,7 e il 6,4%. La diagnosi arriva anche se ci si sottopone a una curva da carico di glucosio, bevendo una soluzione di zucchero concentrato, e dopo due ore la glicemia è ancora fra 140 e 199 mg/dl (vuol dire che l’insulina non ha eliminato il glucosio dal sangue).

Cinque milioni di italiani dal sangue dolce
Il diabete è una delle patologie croniche più comuni al mondo. Si calcola che affligga 540 milioni di persone, un decimo della popolazione adulta, di cui circa la metà non diagnosticati. Da noi, la Società italiana di diabetologia stima i diabetici in cinque milioni di persone, di cui un milione non diagnosticati. Una sorta di epidemia, con dati in forte ascesa. Nel 90% dei casi, si tratta del diabete mellito di tipo 2, che si manifesta in genere dopo i 40 anni ed è legato agli stili di vita. Il pancreas è in grado di produrre insulina, deputata a smaltire il glucosio in circolo, ma le cellule muscolari ed epatiche dell’organismo non riescono a utilizzarla adeguatamente.

L'attrice e produttrice Sharon Stone soffre di diabete di tipo 1 (foto Action Press/LaPresse)
L'attrice e produttrice Sharon Stone soffre di diabete di tipo 1 (foto Action Press/LaPresse)

L'attrice e produttrice Sharon Stone soffre di diabete di tipo 1 (foto Action Press/LaPresse)

I diabetici famosi del cinema
Particolarmente diffuso nei Paesi a basso e medio reddito, il diabete non risparmia l’Occidente ricco e i personaggi famosi. Qualche anno fa fu Tom Hanks a dichiararlo: «Sono stato un idiota totale, è colpa della mia dieta poco sana». In realtà allo sviluppo del suo diabete dovevano aver contribuito anche i repentini cambi di peso corporeo imposti dalle esigenze sceniche, come l’aumento di 13 chili per impersonare un giocatore di baseball in Ragazze vincenti. La collega Sharon Stone, che ha sofferto anche di malanni più gravi (nel 2001 fu colpita da un aneurisma cerebrale), ne ha parlato spiegando che il diabete è uno stimolo a mantenere uno stile di vita disciplinato: dieta, esercizio fisico, riposo.
Ma la lista dei personaggi noti del passato e del presente con il sangue dolce è lunga: dallo scrittore Ernest Hemingway, che però della sua salute continuò a non preoccuparsi troppo, a Liz Taylor, che teneva in frigo una fotografia di quando era ingrassata come disincentivo alle abbuffate, dallo statista sovietico Mikhail Gorbaciov a Luciano Pavarotti. Il famoso tenore si era dato una regola ferrea (e non proprio azzeccata): non toccare cibo prima delle tre del pomeriggio, mangiando a quell’ora una bistecca con insalata, e poi pesce ancora con lattuga a cena.

I valori di riferimento prima e ora
Finora i valori di riferimento per individuare una condizione glicemica a rischio erano, oltre all’emoglobina glicata (indicativa dell’andamento della glicemia negli ultimi due-tre mesi) compresa fra il 5,7 e 6,4%, la glicemia tra i 100 e i 125 milligrammi per decilitro di sangue a digiuno e tra i 140 e i 199 milligrammi per decilitro dopo due ore dall’assunzione di glucosio: al di sopra di quei valori massimi si diagnosticava il diabete.
Con il nuovo esame le cose potrebbero cambiare di molto in termini di prevenzione. «Si è scoperto che il test a un’ora evidenzia situazioni di iperglicemia che alla seconda ora non erano rilevate», spiega Giorgio Sesti, professore di Medicina interna all’Università Sapienza di Roma e presidente della Società italiana di medicina interna.
La nuova metodologia svela con anni di anticipo le situazioni a rischio: quando, misurando la glicemia dopo un’ora dall’assunzione di glucosio, i valori sono tra 155 e 208 milligrammi per decilitro. L’individuazione dei casi di prediabete, secondo Sesti, è della massima importanza: «È un po’ come la pressione normale alta, cioè una condizione che segnala un problema da non trascurare per evitare di incappare in conseguenze più gravi».

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Che cosa fare in caso di prediabete
Che fare se si scopre di avere una glicemia da prediabete? Non servono farmaci, spiega Sesti: «Prima di tutto bisogna intervenire sulla dieta. La peggiore è quella ricca di grassi saturi, di origine animale per intendersi, e di zuccheri semplici, come quelli delle farine raffinate. La migliore è invece una dieta ricca di fibre: cioè di ortaggi, legumi e cereali integrali. Importantissimo, inoltre, l’esercizio fisico e la perdita di peso: nei casi di obesità eliminare chili può far regredire la malattia». I depositi di grasso, soprattutto nella pancia, sono infatti uno dei principali fattori per l’insorgenza del diabete, perché l’eccesso di acidi grassi liberi prodotti dalle cellule adipose interferiscono con il metabolismo degli zuccheri. Non a caso un vecchio ma importantissimo studio pubblicato su The Lancet Diabetes & Endocrinology ha dimostrato che il prediabete può regredire perdendo il 5% del peso in un anno, specie nel girovita.
La dieta va associata a un’adeguata attività motoria, che consente anche di concedersi qualche strappo a tavola.