«Il pilates ti fa sentire “centrato”: crea una struttura muscolare dall’interno del corpo, non è soltanto tonificazione». La ricerca dell’interiorità, anche quando parla di allenamento del corpo, è una costante dell’intervista a Raoul Bova. Un mito per migliaia di italiane, che lo hanno conosciuto giovane e spensierato nel 1993 nel film Piccolo grande amore e che lo hanno seguito in oltre trent’anni di carriera fino a oggi, più saggio ma ugualmente affascinante nei panni televisivi di don Massimo, il sacerdote che ha preso il testimone di don Matteo (Terence Hill) nella parrocchia (e negli intrighi) di Spoleto.

Grazie al suo fisico di ex nuotatore e alla bellezza del suo viso, è considerato uno dei sex symbol del cinema italiano, ma non manca di autoironia. L’attore sorride molto durante l’intervista per BenEssere, una risata piena, profonda, genuina. E poi riflette sempre prima di parlare, col risultato che non è mai banale.

Raoul Bova, lei si tiene in forma praticando pilates. Che cosa le offre questa disciplina?
«Inizio sempre la giornata con una lezione di Reformer Pilates, cioè sull’attrezzo specifico. Praticarlo di mattina, quando i muscoli sono ancora un po’ addormentati e, spesso, intorpiditi dalle posizioni sbagliate che assumo durante la notte, è un toccasana, che mi riconcilia con gli impegni che dovrò affrontare nel corso delle ore. È una ginnastica di stretching, di postura e allenamento, al termine della quale mi sento “centrato” con la mente e il corpo».

E il nuoto?
«C’è sempre. Nei momenti di pausa dal set vado in piscina».

Di recente si è rotto una tibia e si è operato a un ginocchio. Come sta ora? Il pilates l’aiuta?
«Le gambe sono il mio punto sfortunato. Sono sempre state il mio punto di forza, e forse per questo catalizzano le varie problematiche fisiche. Il pilates, con il suo lavoro isotonico, senza ripetizioni continue e forsennate, mi aiuta molto nella ripresa, crea muscolatura, ma senza stressare l’articolazione. È una disciplina che va bene per tutti, forgia una struttura muscolare molto importante».

È nato a Roma da una famiglia di origini calabresi e campane, unico maschio e due sorelle più grandi. Che infanzia ha avuto?
«Bellissima! Come terzo e ultimo figlio, per di più maschio, sono stato coccolato da tutti. Mia sorella maggiore, Tiziana, giocava con me a fare la mamma…».

Perché ha scelto di iscriversi all’istituto magistrale?
«Perché volevo insegnare educazione fisica nelle scuole, e per fare questo ai miei tempi dovevi frequentare l’Isef, l’Istituto superiore di educazione fisica, che dal 1998 non esiste più. Ho pensato che il magistrale fosse propedeutico, soprattutto per l’impianto educativo che offriva, quindi l’ho scelto dopo le scuole medie».

A 15 anni ha vinto la prima di una serie di medaglie, ma poi lei ha dichiarato che la voglia di gareggiare era diventata un’ossessione, una gabbia dalla quale scappare.
«Quando ero piccolo gareggiavo, mi divertivo e vincevo. Però, con la crescita, le aspettative degli sponsor e della federazione hanno superato la parte divertente dell’agonismo. Ed è in quel momento che è diventata un’ossessione: non c’erano alternative alla medaglia. Allora non me la sono più sentita».

Ma le ha lasciato qualcosa di buono lo sport vissuto in maniera agonistica?
«Lo sport è stato fondamentale nella mia vita. Con i suoi pregi e i suoi difetti, la squadra è stata per me una seconda famiglia: ci si allenava insieme, si facevano le trasferte... Il nuoto mi ha insegnato un rapporto molto profondo con il tempo e con il corpo: la simbiosi che si crea con l’acqua è fondamentale. Se sei più nervoso, il tuo corpo affonda, se sei più leggero galleggi… Il muscolo è pesante quando è rigido e quando la mente è piena di pensieri. Nuotare mi ha anche insegnato a correre, a fare la mia gara senza guardarmi indietro, migliorando me stesso a ogni vasca».

Dalla piscina al cinema: come è avvenuta la svolta?
«Con un incontro casuale. Facevo già parte di un’agenzia di spettacolo e un giorno mi dissero che cercavano un ragazzo che interpretasse Giuseppe Abbagnale, campione di canottaggio italiano. Non erano riusciti a trovare un attore convincente, così avevano aperto i provini agli atleti. Mi fissarono un appuntamento con Adriana Sabatini, una delle più note direttrici di casting del panorama televisivo e cinematografico italiano. Arrivai in ritardo, pensando di aver perso ogni possibilità. Invece Adriana fece tornare indietro il regista, per il provino, e mi scelsero. A distanza di tempo, mi rivelò che dal mio sguardo aveva capito subito che ero la persona giusta. La miniserie Una storia italiana fu un successo, la vide un pubblico enorme, e da allora iniziai a essere riconosciuto».

Ha più volte raccontato il dolore vissuto per la perdita dei suoi genitori, morti a un anno di distanza. Qual è il suo ricordo felice con sua madre e suo padre?
«Ho un bouquet di ricordi, sceglierne uno solo è impossibile… Mio padre cucinava, soprattutto lasagne, cannelloni... In famiglia aspettavamo la domenica perché riuscivamo a essere tutti a tavola insieme, e si sentiva l’odore del ragù che papà preparava. Mia madre, invece, sfornava le pizze napoletane… Ecco, i più belli sono i ricordi di vita comune, quando eravamo tutti insieme. E poi ci sono le soddisfazioni, come la partita del cuore disputata a Rieti per raccogliere fondi dopo il terremoto ad Amatrice, nel 2016: c’è una foto che ritrae me e mio padre abbracciati, che camminiamo sorridendo, felici dell’amore e della solidarietà che eravamo riusciti a mettere in circolo. E infine, ricordo anche tanti momenti di gioco e divertimento con le mie sorelle, mi aiutavano nello studio. Anche se la seconda, Daniela, una volta mi ha dato i risultati dei compiti sbagliati per farmi un dispetto…».

L’insegnamento più grande ricevuto in famiglia?
«Il rispetto, sicuramente. A casa mia c’era rispetto per le persone, ma anche per le regole: orari, educazione…».

Bova ha quattro figli: Alessandro Leon (2000) e Francesco (2001), avuti dall’ex moglie Chiara Giordano; Luna (2015) e Alma (2018), avute dalla compagna e collega Rocio Munoz Morales
Bova ha quattro figli: Alessandro Leon (2000) e Francesco (2001), avuti dall’ex moglie Chiara Giordano; Luna (2015) e Alma (2018), avute dalla compagna e collega Rocio Munoz Morales

Bova ha quattro figli: Alessandro Leon (2000) e Francesco (2001), avuti dall’ex moglie Chiara Giordano; Luna (2015) e Alma (2018), avute dalla compagna e collega Rocio Munoz Morales

E lei che tipo di padre è? Ha due maschi e due femmine: c’è differenza nell’educazione che impartisce?
«Credo non ci sia differenza, a patto di essere consapevoli che maschi e femmine sono due mondi diversissimi. Per esempio, Alma e Luna, già prima di compiere 10 anni, hanno sempre amato giocare a fare le donne. I maschi, invece, sono più fisici, sportivi, un po’ bambini anche da adolescenti. Detto questo, però, poi devi sempre relazionarti con il carattere del singolo figlio, ognuno è diverso dall’altro. Insomma, cambia la dinamica dell’educazione, ma la base è la stessa. Io sono un padre che cerca di mettersi in ascolto, facendo frutto degli insegnamenti che ho ricevuto e che mi hanno aiutato».

È intransigente?
«Provo a non esserlo. Di base impartisco ai miei figli dei concetti essenziali cui attenersi, ma considero che esistono le eccezioni… E loro sanno che possono parlarmi di tutto».

La sua bellezza è stata un limite o un aiuto?
«Prima pensavo fosse un limite, ora il contrario. Sicuramente l’aspetto fisico attrae le persone ma dev’esserci altro. Devi vedere se dietro la bellezza c’è qualcosa di solido. Con il tempo, ho imparato che essere belli significa sentirsi completi, risolti, una cosa unica tra ciò che siamo e come appariamo fuori. Quello che hai dentro può supportare l’aspetto fisico o lo può distruggere».

Come si occupa della sua salute?
«Cerco di mangiare in modo sano e di tenermi sotto controllo, facendo periodicamente “un tagliando”. Faccio sport e provo a stare il più possibile a contatto con la natura. Mantenersi in forma vuol dire anche avere uno spirito in forma, allontanando le negatività e il dolore, trasformando il malessere in benessere».

Segue progetti con Unicef, Fao e Fondazione Rava, solo per citare i suoi ultimi ambiti di impegno. Durante il Covid, ha messo a disposizione la sua villa per i più fragili. Da dove nasce questa attenzione al sociale?
«Credo di aver avuto tanto dalla vita ed è giusto restituire e condividere, offrendo parte della mia gioia ad altri che hanno avuto meno. Sono grato dei doni che ho ricevuto e per questo desidero metterli a disposizione».

Bova ha inaugurato lo scorso 3 ottobre, al Pronto soccorso pediatrico del Policlinico Gemelli di Roma, la Culla per la vita \\\"Ninna ho\\\", primo progetto nazionale contro l’abbandono neonatale e l’infanticidio, nato nel 2008 da un’idea della Fondazione Francesca Rava (NPH Italia ETS e del Network KPMG)
Bova ha inaugurato lo scorso 3 ottobre, al Pronto soccorso pediatrico del Policlinico Gemelli di Roma, la Culla per la vita \\\"Ninna ho\\\", primo progetto nazionale contro l’abbandono neonatale e l’infanticidio, nato nel 2008 da un’idea della Fondazione Francesca Rava (NPH Italia ETS e del Network KPMG)

Bova ha inaugurato lo scorso 3 ottobre, al Pronto soccorso pediatrico del Policlinico Gemelli di Roma, la Culla per la vita "Ninna ho", primo progetto nazionale contro l’abbandono neonatale e l’infanticidio, nato nel 2008 da un’idea della Fondazione Francesca Rava (NPH Italia ETS e del Network KPMG)

Ha interpretato, nel ruolo di un allenatore, la serie tv I Fantastici 5, nata da un’idea del giornalista Massimo Gramellini, raccontando le sfide di persone disabili. Nelle scorse Paralimpiadi, ha sostenuto a Parigi i nostri atleti. Gli atleti paralimpici hanno una marcia in più?
«Sì, perché oltre alle difficoltà richieste dall’attività sportiva, che tutti gli atleti affrontano, loro hanno dovuto superare pregiudizi e complicazioni aggiuntive».

Lei è conosciuto come collezionista di scarpe. Quante paia ne ha nell’armadio?
«In realtà mi piacciono le scarpe da ginnastica… Solo che non mi durano molto, quindi ho un bel ricambio. Gli altri modelli… Beh, sì, ne ho un po’, ma alcune (a mia insaputa) di sicuro sono state regalate ad amici e parenti…».

Ama anche vestire bene. C’è per caso un colore che non indosserebbe mai?
«Quest’estate ho sfoggiato un vestito verde Armani, chi lo avrebbe mai detto… Alla fine, tutti i colori possono essere belli, se indossati con gusto».

Ha dichiarato che, da piccolo, voleva salvare il mondo e si ispirava ai cartoni animati. Qual era il suo preferito?
«Jeeg robot d’acciaio e Ufo robot, senza dubbio!».

Abbiamo tutti le nostre fragilità, qual è la sua?
«A tavola non resisto ai dolci… A livello emotivo, forse la paura per i figli».

Come la affronta?
«Fidandomi di loro, ammettendo che si può sbagliare e poi recuperare e non è un dramma».

Se dovesse esprimere un desiderio, quale sarebbe?
«Di trovare un po’ di vaccini contro le malattie rare e terapie efficaci contro i tumori».