Sono un prete che corre. La fatica e la concentrazione che sono richieste dallo sport mi aiutano a essere un sacerdote migliore, a uscire dalla sacrestia, come chiedeva papa Francesco.
Ho iniziato a correre a 12 anni, spinto dal mio insegnante di educazione fisica a partecipare ai Giochi della gioventù. Non avevo mai gareggiato, ma vinsi. Scoprii di avere passione e talento. Gli anni della mia adolescenza sono stati sereni, tra la corsa e lo studio. Anche se… ecco, mi piaceva pregare. «Forse Dio mi sta chiamando?», mi chiedevo. Ma ero troppo giovane per darmi una risposta.

«Ero una promessa dell’atletica»
All’età di 16 anni, ero diventato una promessa dell’atletica italiana. Dal mio paesino, Vita, mi trasferii a Bagheria per farmi allenare da Tommaso Ticali, che poi avrebbe seguito campioni italiani come Vincenzo Modica e Anna Incerti. Fu lui a iscrivermi alla prova dei 1.500 metri dei campionati regionali siciliani, dove vinsi in 3’51’’.
Quando partii per il servizio militare, feci parte del gruppo sportivo e nel 1993 conquistai l’oro ai campionati italiani interarma di Riccione. Dopo gli allenamenti, però, me ne andavo in cappella a pregare: quella chiamata si stava facendo strada. Quando ne parlai, non tutti accolsero positivamente la scelta di farmi prete: al gruppo sportivo dell’Esercito alcuni non accettarono la mia vocazione, anche mia madre era titubante. Tuttavia, partii per il Pontificio seminario maggiore a Roma.

Il divieto in seminario
Non furono anni facili: i miei superiori non vedevano di buon occhio l’attività sportiva e dovevo correre di nascosto all’alba, indossando calzoncini e maglietta sotto i vestiti, nascondendo le scarpe da corsa nella borsa dei libri.
Nonostante questi accorgimenti, venni scoperto: il rettore mi impedì di proseguire con lo sport e, addirittura, mi fece frequentare uno psicologo, perché secondo lui la corsa era un atto di narcisismo, da cui dovevo liberarmi. Ripensando a quegli anni, ammetto di aver sofferto molto. Lo sport non toglie niente al sacerdozio e non toglieva nulla alla mia formazione da seminarista, anzi mi aiutava con le ore di studio pesanti.
Fui ordinato prete nel 2006. Mi fu affidata una parrocchia in provincia di Messina, a Barcellona Pozzo di Gotto, dove vivo. Una volta però, durante una benedizione delle famiglie, ho incontrato un maratoneta, che mi ha invitato a correre. Era il 2010: decisi di riannodare il filo con lo sport.

Il percorso agonistico
Ho dovuto impegnarmi tanto per rientrare nei parametri richiesti a un atleta. Fortunatamente, l’allora vescovo di Messina mi diede l’appoggio che mi era mancato negli anni di seminario.
Grazie al mio vecchio allenatore, Ticali, iniziai un nuovo percorso. Al momento ho corso tre maratone e otto mezze maratone. Ma sono e resto un prete: prima di ogni gara, benedico gli atleti alla partenza, a volte ne confesso qualcuno e al traguardo mi inginocchio e ringrazio il Signore.
Correre aiuta a conoscere se stessi e a meditare, può rivelare a ognuno i propri limiti, ma anche le sue potenzialità. È una sorgente di equilibrio, quindi fa a pieno titolo parte della mia missione di prete.

Fitness

Sette regole per correre in sicurezza

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Per me la cosa fondamentale non è il podio, ma stare accanto ai ragazzi, gareggiare con loro, incoraggiarli. Far capire che lo sport aiuta a mettere ordine nella propria vita. Proprio per questo sono diventato anche istruttore. Seguo diversi ragazzi, militari, medici della provincia ai quali invio i programmi di allenamento per e-mail e che ogni tanto incontro per correre assieme. Questo mi ha consentito di instaurare un dialogo spirituale con molti di loro, di avvicinarli alla fede attraverso la mia testimonianza. Anche in scarpe da running posso servire il Signore.

 

Testimonanza di don Vincenzo Puccio raccolta da Agnese Pellegrini