Non solo bicipiti e addominali. Lo sport migliora anche i batteri buoni che vivono nel nostro intestino. Ebbene sì, fra i tanti benefici dell’esercizio fisico, la ricerca ne ha scoperto un altro: l’influenza positiva sul microbiota, i miliardi di microrganismi che aiutano la digestione, il metabolismo e contribuiscono alla salute generale.

Prevenzione delle malattie neurodegenerative e tumorali
Partiamo da un concetto. Pressoché su tutte le superfici del nostro corpo, e in particolare nel nostro apparato digerente, vive un popolo di germi che ha con l’organismo un rapporto di “dare e avere”: i batteri si nutrono con i residui della nostra digestione e, in cambio, producono molecole preziose che assorbiamo attraverso la mucosa del colon. Se questi microrganismi non sono ben assortiti e bilanciati fra loro, attraverso alterazioni del sistema immunitario possono contribuire all’insorgenza di diverse malattie metaboliche, cardiovascolari, neurodegenerative e tumorali.
Gli studi recenti provano che fare movimento fisico si associa a cambiamenti piuttosto rapidi del nostro microbiota intestinale, anche se è difficile capire se queste variazioni siano alla base delle capacità atletiche o ne siano il risultato. «L’attività fisica influenza la composizione del nostro microbiota, il quale a sua volta modula la risposta dell’organismo all’esercizio», si legge nel libro Microbiota, se lo conosci ti curi meglio (Sonzogno), firmato da due big dell’ospedale universitario Humanitas di Milano, l’esperta di microbiota Maria Rescigno e l’immunologo Carlo Selmi. «Le evidenze sono così robuste da far ritenere agli scienziati che i potenti effetti dello sport sulla nostra salute siano mediati proprio dalle popolazioni microbiche che albergano sulle nostre mucose».

La specie che mangia l’acido lattico
Gli studi sono molti. Li cita Maria Rosaria Squeo, responsabile sanitaria dell’Area olimpica dell’Istituto di Medicina e Scienza dello sport di Roma, l’unica struttura sanitaria e scientifica del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), che ha il compito di tutelare lo stato di salute degli atleti di élite. «C’è una ricerca americana, pubblicata nel 2019 su Nature Medicine, che ha studiato il microbiota intestinale dei partecipanti alla maratona di Boston, a cui è stato richiesto un campione di feci prima e dopo la gara», dice Squeo. «I ricercatori hanno riscontrato una variazione dei microrganismi presenti, in particolare con un aumento della specie Veillonella dopo la performance sportiva, i cui ceppi sono scarsi nei sedentari. Questo batterio utilizza come fonte primaria di nutrimento l’acido lattico, che si accumula nei muscoli durante lo sforzo anaerobico, ovvero in assenza di ossigeno, durante uno sforzo fisico notevole. Il sottoprodotto della fermentazione è il propionato, un acido grasso che il corpo utilizza per migliorare la prestazione fisica».
Per confermare i risultati, i ricercatori hanno somministrato il batterio a un gruppo di topi, notando che una volta provvisti di Veillonella gli animali hanno aumentato significativamente, del 13%, le loro performance.

Anche un esercizio minimo fa la differenza
«La Veillonella, così come altre specie batteriche favorite dalla pratica sportiva, è coinvolta nella produzione di butirrato, un acido grasso a catena corta che protegge le pareti intestinali come un balsamo e ha una potente azione antinfiammatoria particolarmente importante per la salute del colon», continua Squeo.
Anche altri ceppi batterici produttori di butirrato (come Faecalibacterium prausnitzii e Roseburia), e quindi amici dell’intestino, risultano abbondanti fra gli sportivi, come mostra uno studio del 2024 (apparso sulla rivista eBioMedicine e condotto su 8.416 persone tra i 50 e i 65 anni).
Ma ci sono sport che, più di altri, possono modificare positivamente il microbiota? «Stando alle attuali conoscenze», risponde Squeo, «non è il tipo di esercizio a fare la differenza ma la sua intensità, che va adeguata al nostro stato di salute generale e al livello di allenamento». Paradossalmente, anche un’attività fisica minima può aiutare. Uno studio condotto sulle donne attive e pubblicato nel 2021 su PLOS One ha mostrato che, se eseguito a basse dosi ma in modo continuo, l’esercizio può aumentare l’abbondanza di batteri buoni, come Bifidobacterium e Akkermansia muciniphila, con grande azione antinfiammatoria ed effetti benefici sulla salute.

Alcuni ceppi producono dopamina e spingono all’azione
Nonostante la crescente informazione, però, solo una minoranza della popolazione si tiene in movimento. «Anche qui, il microbiota pare giocare un ruolo decisivo, influenzando nientemeno che la motivazione individuale», spiegano Rescigno e Selmi nel loro libro. «Infatti, è stato da poco scoperto che animali con un microbiota in salute sono più motivati all’attività fisica, e la chiave sarebbe nella produzione di dopamina da parte di alcuni ceppi». Tra l’altro, si legge nel testo, la dopamina non è coinvolta solo nell’esercizio fisico, ma anche in molte altre funzioni, come l’apprendimento, l’umore e le dipendenze: «Se la stessa via venisse confermata nell’uomo, prescrivere certi esercizi potrebbe avere valore terapeutico nelle fasi iniziali delle malattie neurodegenerative. Questi tipi di interventi gastrointestinali sul microbiota, al momento, sembrano essere in teoria più semplici rispetto a interventi diretti ai neuroni».

Coltivare i microbi amici combatte l’invecchiamento
Non solo, l’associazione tra microbiota e attività fisica è rilevante anche sotto un altro aspetto, quello dell’invecchiamento fisiologico. L’esercizio regolare promuove l’autofagia cellulare (il meccanismo attraverso il quale vengono eliminate cellule e sostanze di scarto), riduce l’infiammazione cronica e migliora la funzione immunitaria. Si spiega bene nel libro: «Microbiota e corpo invecchiano insieme ma, anche grazie all’attività fisica, potrebbero garantirci una longevità in salute. Il movimento, ce lo dicono chiaramente tutti gli studi, è una chiave fondamentale per cercare di prolungare la giovinezza del nostro metaorganismo».

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Ricapitolando, muoverci è il primo passo verso un microbiota sano e vario, composto da tante specie diverse di microrganismi.
«L’interesse verso questo ambito di ricerca è molto alto», notano Rescigno e Selmi, «non solo in un’ottica di miglioramento delle prestazioni sportive, ma soprattutto per le sue possibili ampie applicazioni a scopo preventivo nell’invecchiamento fisiologico, per contrastare il rischio di sarcopenia (la perdita muscolare) e, in ambito clinico, in caso di malattie con compromissione della componente neuromuscolare». E allora, non resta che allacciare le scarpe da ginnastica e mettersi subito in moto.