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«Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui». L’Italia celebra nel 2025 gli 800 anni del Cantico delle creature, il testo poetico più antico di cui si conosca l’autore della nostra letteratura. È un inno alla natura rivoluzionario, una lode alla vita sulla Terra che rende San Francesco «il primo ecologista della storia», come lo ha definito il premio Oscar Roberto Benigni.
Andare sulle tracce del frate, in Umbria, è un viaggio che interessa laici e credenti. Può essere un omaggio alla nostra storia culturale, un modo originale di riscoprire gli ideali ambientalisti o può essere un percorso spirituale, così come lo intende Davide Banzato, sacerdote, conduttore televisivo su Canale 5 e autore di un libro edito dalle edizioni San Paolo: I miei viaggi del cuore con San Francesco, Sant’Antonio e San Pio da Pietrelcina.
«Viaggiare con il Poverello di Assisi come guida significa visitare luoghi nuovi ma anche, in qualche modo, tornare a se stessi», dice Banzato, che invita a ripercorrere i luoghi dell’infanzia e della vita di San Francesco nella nostra splendida Italia centrale.


Don Banzato, fare un viaggio nei luoghi di San Francesco è un modo per riflettere sul nostro rapporto con la natura?
«Anche, certamente. Il carisma di San Francesco ha segnato la storia dell’umanità e il suo Cantico delle creature rappresenta un invito per tutti noi a riflettere».
Dove lo compose?
«All’inizio del 1225 si rifugiò a San Damiano, dove vivevano Chiara e le sue sorelle. Siamo nel suo ultimo anno di vita, e il Poverello, quasi cieco, ha appena subito un intervento agli occhi, che doveva essere risolutivo e invece non ha fatto altro che peggiorare la sua situazione. Francesco dormiva nel piccolo convento annesso alla chiesetta da lui restaurata tanti anni prima e lì, tormentato dai dolori e dai topi, passò una notte da dimenticare. La mattina seguente compose il suo Cantico, proprio nel momento in cui la creazione non poteva più contemplarla con gli occhi, ma la percepiva solo con i sensi spirituali. La sua cecità gli permise di vedere le cose in un modo nuovo e ci ricorda che abbiamo anche gli occhi del cuore con cui, proprio nei momenti più difficili della vita possiamo guardare le bellezze del mondo».
Da dove iniziare il viaggio?
«Assisi va ritenuta, senza dubbio, il centro da cui partire per conoscere la vita del santo. Un gioiello unico, che riserva sempre sorprese, a partire dall’Assisi romana. Una città che vanta siti archeologi e luoghi ricchi di storia, arte, cultura e paesaggi naturalistici, come del resto tanti altri paesi dell’Umbria, regione meravigliosa».
È un luogo caro anche a papa Francesco…
«È andato in pellegrinaggio ben sei volte nella città del Poverello, da cui ha preso il nome per il suo pontificato e che è per lui esempio e guida».
Che cosa vedere ad Assisi?
«Consiglio di percorrere i luoghi dell’infanzia di Francesco, visitando, tra l’altro, l’Oratorio di San Francesco Piccolino e la Chiesa Nuova, tra vie e piazze del centro storico. Lì si era svolta buona parte della vita di Giovanni di Bernardone, il nome all’anagrafe del santo, a partire da quella che era la sua casa, dove vissero anche il papà Pietro, la madre Pica e suo fratello. Pochi anni dopo la morte (1226), la gente di Assisi chiamò questa casa “Chiesa Nuova”, probabilmente perché in poco tempo si era tramutata in una meta di pellegrinaggio».
Quand’è che la casa di San Francesco divenne una chiesa?
«Soltanto nel 1615 a opera dei Frati Minori, con il contributo finanziario di Filippo III, re di Spagna. Nella Chiesa Nuova si trova ancora il sottoscala nel quale Pietro di Bernardone rinchiuse il figlio dopo la fuga a Foligno, progettata per poter vendere le stoffe paterne e riparare con il ricavato la chiesa di San Damiano. Quel sottoscala fu anche il luogo delle riflessioni del giovane e della sua decisione di abbandonare definitivamente la vita galante di “re delle feste” dei suoi compagni».
E la vecchia San Damiano?
«I resti di San Damiano si trovano oggi all’interno della stupenda basilica di Santa Chiara: lì, oltre alle spoglie della santa, è custodito il crocifisso che, all’epoca, si trovava nella chiesetta. Mi sono perso ore e ore dinnanzi a quel crocifisso, restando colpito dal pensiero che proprio davanti a quell’immagine Francesco sentì la chiamata del Signore a riparare la sua casa. Così come mi sono perso nelle pietre del santuario di San Damiano…».
Consiglia una visita anche al santuario?
«È uno dei posti speciali da visitare per capire cosa avvenne nella vita di Francesco. È immerso nel verde, appena fuori dal centro storico di Assisi. Qui visse per 42 anni Santa Chiara, che morì l’11 agosto 1253».


Un luogo francescano che lei ha particolarmente a cuore?
«Oltre alla città di Assisi, La Verna, sull’Appennino toscano, a 1.128 metri sul monte Penna, dove si narra che San Francesco abbia ricevuto le stigmate, nel 1224. I ricordi sono tanti, così come i viaggi vissuti negli anni, perché spesso vi ho trascorso periodi di silenzio e preghiera, immergendomi nella bellezza di queste tappe che sembra sempre di visitare per la prima volta. A questi luoghi sono legato affettivamente per tanti motivi. Mio padre non li trascurava mai, facendo una sosta all’andata o al ritorno, durante i viaggi che faceva per venire a trovarmi. A volte ci siamo andati insieme, amando trascorrere del tempo nel bosco che circonda La Verna, dove si può pregare proprio tra gli alberi che lo stesso Francesco ha contemplato, quando ancora non esisteva nessuna costruzione, ma solo un monte isolato nella natura selvatica.
Lì si osservano ancora tracce del passaggio del santo?
«Sì, è possibile osservare le tracce del suo passaggio e le pietre in cui sono scritti i nomi dei suoi compagni. Oppure individuare le zone in cui si isolavano, con le grotte o le fenditure delle rocce utilizzate come luogo per dormire e per pregare».
Nel suo libro ricorda anche il santuario dell’Eremo delle carceri.
«È ancorato sulla roccia, a quattro chilometri da Assisi, sul monte Subasio, nel cuore di un bosco di lecci secolari. È uno dei santuari francescani custoditi dai Frati Minori e la parola carcere non vuol dire “prigione”: proviene dal latino carcer, che significa luogo appartato, solitario, quindi adatto alla vita di preghiera. È il luogo dove andavano Francesco, i suoi compagni e, dopo di loro, i frati francescani per periodi di ritiro contemplativo. L’esperienza del silenzio e del ritiro è tutt’ora possibile all’Eremo delle Carceri, ripercorrendo nei boschi le stesse strade calpestate da Francesco e dai suoi primi compagni».
Ci sono grotte che si possono visitare?
«Una è speciale: la grotta di Francesco, dove in un piccolissimo spazio molto umido e spoglio, spicca una dura pietra, utilizzata come letto dal frate nei suoi tempi di eremitaggio. In quella grotta e in quei boschi, il Poverello andò molte volte nel corso della sua esistenza per abbandonarsi alla preghiera e al pianto, perché aveva scelto questo eremo come uno degli spazi nei quali vivere i suoi prolungati tempi di quaresima».
Torna spesso in quei luoghi?
«Sono tornato tante volte a La Verna e ad Assisi per pregare e meditare. Toccando le pietre, si immaginano i momenti della vita del santo e si ripercorrono le scene del film Fratello sole, sorella luna del 1972, di Franco Zeffirelli, che esalta la poesia dell’animo di Francesco. Ma mi immergo anche negli aspetti crudi dell’umanità dell’uomo Francesco, rappresentati dalla regista Liliana Cavani nel film Francesco, del 1989».•