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Il presidente Sergio Mattarella nomina nel 2025 Alfiere della Repubblica Davide Zilli, nato nel 2011 e affetto da ipoacusia bilaterale profonda, iscritto all’Istituto tecnico con indirizzo informatico
Davide aveva solo tre anni quando ha capito che bastava un piccolo gesto per mettere in pausa il mondo. Quando lo sgridavamo, con aria imbronciata si toglieva la parte esterna dell’impianto cocleare, poi si copriva gli occhi con le mani. In un attimo diventava come le tre scimmiette della saggezza: non vedeva, non sentiva, non parlava. Era il suo modo geniale per sottrarsi ai rimproveri. Una sorta di dichiarazione d’indipendenza: «Non sento, quindi non vale».
Peccato che la possibilità di spegnere tutto ciò che non gli piaceva derivasse da una sordità congenita.
La diagnosi: perdita dell’udito
Davide è nato il 14 dicembre 2011. Sembrava un bambino sano, ma nelle prime settimane non si voltava ai rumori, non reagiva alla nostra voce. «Ogni bambino ha i suoi tempi», ci dicevano. Ma io sentivo che qualcosa non andava.
La diagnosi è arrivata il 20 febbraio 2012: ipoacusia bilaterale profonda, cioè perdita quasi totale dell’udito. L’origine era genetica, anche senza precedenti in famiglia. Ricordo bene quel momento. Ho sentito un vuoto, come se il pavimento si fosse aperto sotto i miei piedi.
Ho pensato a tutto ciò che mio figlio non avrebbe sentito: la musica, la pioggia, il mio «ti voglio bene» sussurrato. Quel giorno, tornando a casa, avevo mille pensieri e una paura enorme: come crescere un bambino senza suoni?
Le prime protesi
Non c’era tempo per disperarci. All’ospedale di Bergamo ci avevano consigliato di aspettare che Davide compisse nove mesi prima di mettere le protesi. È stata la nostra pediatra a suggerirci un secondo consulto all’ospedale dei Bambini di Brescia, dove ci hanno proposto di intervenire subito: la sordità poteva compromettere la lallazione, fase fondamentale per il linguaggio, quando i bambini ripetono suoni come «ba-ba» o «da-da».
Così, tra timori e incertezze, abbiamo scelto quella strada. Non è stato facile: Davide si toglieva spesso le protesi, c’è voluta pazienza. Ha anche iniziato la logopedia: prima ogni 15 giorni, poi ogni settimana. Tutte le volte, un viaggio a Brescia. Giornate intense, ma ogni incontro era un passo avanti. Non potevamo fermarci.
Verso l’anno e mezzo, i dottori ci hanno proposto il primo impianto cocleare. Davide aveva buone potenzialità e con quello avrebbe sentito meglio. Mentre la protesi acustica amplifica i suoni, come un occhiale che migliora la vista, l’impianto cocleare è un dispositivo elettronico inserito chirurgicamente, con una parte interna fissa e una parte esterna removibile: capta i suoni e li trasforma in impulsi elettrici, stimolando il nervo acustico e permettendo al cervello di riconoscerli. Perciò lo chiamano “orecchio bionico”.
Il primo impianto è arrivato a luglio 2013. I medici non ritenevano necessario il secondo, ma a quattro anni è stato Davide a chiederlo: voleva sentire bene da entrambe le orecchie. Così, a ottobre 2016 è arrivato anche l’altro.
Il percorso non è stato semplice. L’impianto non è come una protesi: non basta accenderlo per sentire. Il cervello deve imparare a riconoscere i suoni e associarli ai significati. All’inizio Davide non capiva nulla: ogni rumore era una scoperta. Sono serviti tempo, pazienza e altra logopedia. I controlli inizialmente frequenti sono diventati sempre più rari.
Il volo speciale a Roma
Come uno smartphone, anche l’impianto va ricaricato ogni notte su una base luminosa: la luce è rossa durante la carica e diventa verde quando è completa. Ma se il dispositivo non è ben posizionato, la ricarica può non avviarsi. Da qui l’idea: un allarme che avvisi se l’impianto non è posizionato correttamente.
Scoperto il concorso “Ideas for Ears” di Med-El (azienda produttrice dei suoi impianti), Davide ha partecipato con questa proposta. Ha descritto il problema, immaginato la soluzione e vinto l’edizione 2024. L’idea è stata apprezzata per l’originalità. Non è ancora stata realizzata, ma Med-El ha promesso di valutarla con i suoi ingegneri.
La sorpresa più grande è arrivata quando il Quirinale ha annunciato che Davide sarebbe stato nominato Alfiere della Repubblica, un riconoscimento per i giovani che si sono distinti per impegno, creatività, altruismo o senso civico. E la sua idea al concorso “Ideas for Ears” aveva colpito anche il Presidente della Repubblica.
Il 15 maggio Davide ha partecipato alla cerimonia a Roma, con me e la preside della scuola. Non è stato facile lasciare a casa papà e nonne, entusiasti quanto lui, ma ogni Alfiere poteva avere solo due accompagnatori. L’evento solenne si è tenuto al Quirinale e quando ho visto mio figlio ricevere quel riconoscimento, ho capito che, potendo tornare indietro, non avrei più paura. Se penso a me nel 2012, vorrei dirmi: «Resisti, andrà tutto bene».
Davide non ha solo vinto un premio: ha trovato il suo posto nel mondo, con il coraggio di chi trasforma ogni sfida in opportunità. Perché forse il vero coraggio è imparare a sentire con il cuore, prima che con le orecchie.
Testimonianza di Paola Viola raccolta da Paola Rinaldi









