Assicurare la migliore qualità di vita, fino alla fine, anche quando non si può più guarire. È questo l’obiettivo delle cure palliative che forniscono interventi diagnostici, terapeutici e assistenziali rivolti sia alla persona malata, sia alla sua famiglia. Non servono né ad accelerare (come l’eutanasia), né a ritardare la morte, ma a gestire meglio i sintomi fisici, spirituali e psicologici. In Italia sono un diritto del paziente, sancito dalla legge 38 del 2010, e rientrano nei Lea, i livelli essenziali di assistenza, quindi sono gratuite.
Purtroppo, le cure palliative non sono disponibili in tutte le Regioni in modo capillare. «Spesso sono associate all’idea di fase terminale, invece si rivolgono alle persone di ogni età affette da patologie gravi, non soltanto oncologiche, lungo tutto il percorso della malattia, in base ai bisogni dei pazienti, e possono essere fornite in combinazione con terapie che intervengono sulla malattia ogni qual volta necessario», spiega Tania Piccione, presidente Federazione cure palliative. Non si tratta, quindi, dell’ultima opzione, ma della possibilità di essere curati quando non si può essere guariti.

Psicologia e neuroscienze

La convalescenza? Meglio dinanzi al mare o in mezzo al verde

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Lo dice bene l’Organizzazione mondiale della sanità, nel Technical Report del 1990, che definisce così le palliative: «La cura attiva globale di malati la cui patologia non risponde più a trattamenti volti alla guarigione o al controllo dell’evoluzione delle malattie (medicina curativa). Il controllo del dolore, di altri sintomi e degli aspetti psicologici, sociali e spirituali è di fondamentale importanza. Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile per i malati e le loro famiglie». Per questo, nell’équipe palliativa, ci sono medici e infermieri, ma anche psicologi, fisioterapisti, assistenti sociali e spirituali.

Le carenze nazionali
In base a quanto espresso dalla normativa, le cure palliative si prendono cura di tutti i bisogni della persona nella sua interezza. A 15 anni dalla legge, tuttavia, ci sono ancora grandissime diseguaglianze territoriali, carenza di personale specializzato, barriere culturali e sociali. Basta vedere i numeri:
• su 590mila adulti che, in Italia, ne avrebbero necessità, solo un paziente adulto su tre e un minore su quattro ha effettivo accesso a percorsi specifici;
• appena nove Regioni su 21 soddisfano pienamente il fabbisogno di équi­pe palliative domiciliari;
• solo cinque Regioni hanno strutturato l’attività di consulenza intra ed extra ospedaliera per la presa in carico precoce, mentre tre Regioni il livello ambulatoriale.
I dati del ministero della Salute dicono che il loro accesso non raggiunge l’obiettivo che ci si è proposti con la legge di Bilancio del 2023, ossia di garantire entro il 2028 l’assistenza al 90% delle persone che ne hanno necessità. Nello specifico, la media nazionale è ferma al 33% (si va dal 55% in Veneto e Lombardia al 4,3% della Sardegna e al 6,4% della Calabria). «E si tratta di numeri destinati a crescere», commenta Piccione, «per il progressivo invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento dell’incidenza delle patologie cronico-degenerative».

I motivi delle disparità
È una situazione a macchia di leopardo, quella che si registra in Italia. A cui va aggiunta una considerazione importantissima: «La mancata accessibilità alle cure palliative», aggiunge Piccione, «non riguarda esclusivamente le persone affette da patologie oncologiche, a cui spesso erroneamente si associano con esclusività, ma sussistono forti barriere nell’attivazione di queste cure per i malati affetti da altre patologie croniche avanzate, come l’insufficienza cardiaca, le malattie respiratorie, le demenze e le altre malattie neurodegenerative».

Le cause? «Lo sviluppo delle reti di cure palliative è ancora disomogeneo», continua l’esperta, «con marcate disuguaglianze tra nord e sud del Paese. Molti modelli organizzativi sono ancora maggiormente focalizzati sui malati oncologici, permangono delle resistenze culturali anche tra i professionisti sanitari e infine continua a registrarsi un ritardo nell’intercettazione del bisogno e quindi nell’invio dei malati ai servizi specifici». Si aggiunge la carenza di personale specializzato: attualmente, mancano il 50% dei medici necessari (750 contro i 1.600 richiesti) e due terzi degli infermieri (1.500 a fronte di 4.550 richiesti).

A domicilio o negli hospice
Ma dove bisogna andare? «In base alla normativa», specifica Piccione, «le terapie palliative devono essere erogate in ogni luogo di cura: al domicilio, in hospice, in ospedale e in ambulatorio. Ma anche su questo versante ci sono delle criticità: a fronte del fabbisogno di posti letto hospice per adulti di quasi seimila unità, secondo gli standard del Decreto ministeriale n. 77 del 2022, ne sono attivi poco più della metà. Le cure palliative domiciliari, nonostante registrino un aumento delle performance medie nelle Regioni, necessitano di interventi di potenziamento in molte aree. Il nodo ospedaliero è poi completamente da sviluppare, sia nei reparti che negli ambulatori. Infine, le cure palliative pediatriche, che sono l’espressione più alta del prendersi cura, rappresentano un diritto che ancora oggi stenta a essere riconosciuto e tutelato. Manca anche la cultura nella cittadinanza e, spesso, anche tra i professionisti. Secondo una recente ricerca sulla consapevolezza realizzata da Ipsos, Vidas e Federazione cure palliative, si rileva che tra i cittadini quattro su dieci pensano che le cure palliative non possano riguardare anche i bambini e solo un terzo dei pediatri intervistati si ritiene sufficientemente informato sull’argomento».

Come fare richiesta
Ma come si fa a richiedere di entrare in un percorso di cure palliative? «È difficile rispondere in maniera univoca a questa domanda», ammette Piccione, «perché le procedure variano da Regione a Regione. In generale, però, ci si può rivolgere al medico di famiglia se il malato è a casa; ai medici specialisti ospedalieri se invece è ricoverato; alla propria Asl o alle tante associazioni del terzo settore. Una volta preso in carico il paziente, l’équipe di cure palliative stabilirà, in base alle preferenze della persona malata, ai suoi bisogni assistenziali e alle risorse della famiglia, dove svolgere l’assistenza, se in hospice, se a domicilio o in ospedale».
Nello specifico, le cure palliative domiciliari vengono attivate in seguito alla richiesta del medico di medicina generale (per le persone che si trovano a casa) o alla dimissione protetta da parte di un reparto ospedaliero. L’accesso all’hospice avviene attraverso i reparti ospedalieri o tramite richiesta del medico curante, se il malato si trova a casa. Il personale dell’hospice contatta direttamente il familiare, o il malato, per definire la data prevista del ricovero. Di norma, gli hospice si dotano di criteri specifici di valutazione per gestire le priorità all’interno della lista d’attesa.

Le domande frequenti
(in collaborazione con la Federazione cure palliative)
1. Quali malati hanno diritto alle cure palliative?
Malati di ogni età, colpiti da una qualunque malattia inguaribile in fase avanzata (non solo il cancro).
2. Dove vengono effettuate le cure palliative?
A casa, in hospice, in ospedale, in strutture residenziali o in qualsiasi luogo si trovi una persona malata che ne abbia bisogno. Una struttura di coordinamento, detta Rete locale di cure palliative, garantisce l'assistenza e la continuità delle cure.
3. Come si accede alla rete locale di cure palliative?
Impossibile rispondere in maniera univoca a questa domanda perché le procedure variano da regione a regione. Ci si può rivolgere a:
Medico di Medicina Generale (Medico di famiglia)
• Medici specialisti ospedalieri
• Asl/Distretto di riferimento
• Associazioni di Volontariato
4. Quanto costano al malato o ai suoi familiari?
Le cure palliative sono un diritto del malato e sono gratuite. La legge 38/2010 e i successivi decreti attuativi attribuiscono alla Rete locale di cure palliative il compito di garantire tale diritto al malato ed alla sua famiglia.
5. Come viene effettuata la scelta tra assistenza domiciliare e ricovero in hospice?
È compito dell'équipe di cure palliative stabilire, in base alle preferenze della persona malata, ai suoi bisogni ed alle risorse della famiglia, dove svolgere l'assistenza.
6. Per la degenza in hospice si deve pagare una retta?
No, in linea di massima. Le cure palliative rientrano nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e sono quindi garantite dal Ssn (Sistema sanitario nazionale) a titolo gratuito. Può capitare, raramente, che qualche struttura privata sia accreditata dalla Regione di appartenenza solo per una parte dei suoi posti letto. In tal caso per le camere in eccedenza può essere richiesto il pagamento.
7. È vero che l'uso degli oppioidi per il controllo del dolore accorcia la vita?
No, gli oppioidi sono farmaci ben conosciuti e non influiscono sul tempo naturale di sopravvivenza dei malati che li assumono. Inoltre controllando il sintomo dolore, migliorano la qualità della vita del paziente e, di riflesso, anche quella dei suoi familiari.
8. È vero che gli oppioidi creano dipendenza e possono essere prescritti solo per il dolore da cancro?
La dipendenza in questo tipo di malati è un evento rarissimo (0,03%). Gli oppioidi possono essere utilizzati per qualunque malattia caratterizzata da dolore medio-intenso e non alterano la coscienza.
9. Con le cure palliative si può guarire?
Le cure palliative non hanno come scopo la risoluzione della malattia, ma si adoperano per il controllo dei sintomi e della “sofferenza globale” del malato, intesa come sofferenza fisica, psichica, relazionale e spirituale. Le cure palliative non portano quindi alla guarigione della malattia ma, attraverso un approccio globale e interprofessionale permettono la cura della persona con malattia grave, cronica, evolutiva e/o in fase terminale al fine di migliorare la percezione della qualità della vita.
10. Per chi accede alle cure palliative è possibile ricevere un supporto psicologico?
Sì, lo psicologo è presente in tutte le équipe di cure palliative, come previsto dalla Legge 38/2010. Il suo intervento si rivolge gratuitamente sia ai malati sia ai familiari nel caso in cui, durante l’assistenza, emergano bisogni psicologici, ad esempio: difficoltà nel percorso di consapevolezza della prognosi, problematiche relazionali/familiari, fatica nella gestione delle emozioni connesse alla malattia.