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La sua storia comincia a Milano nel 1902, in una graziosa palazzina di via Monterosa, grazie all’impegno di un gruppo di donne della borghesia milanese guidate da Ersilia Bronzini Majno, attiviste illuminate, di fede socialista, con il progetto di accogliere e offrire formazione alle tante bambine e ragazze in difficoltà: figlie di prostitute o carcerati, vittime di violenza, bambine di strada avviate esse stesse alla prostituzione. Nasce così l’Asilo Mariuccia, oggi Fondazione, dedicato alla memoria della figlia dei coniugi Majno, morta di difterite.
Lo spazio di assistenza laica unisce da subito all’accoglienza i corsi per insegnare alle ragazze a «leggere, scrivere e far di conto», come si diceva allora. Non un dettaglio, considerato il tasso di analfabetismo dell’epoca che, a Milano, raggiungeva il 56%.
«Nella sua storia l’Asilo Mariuccia ha aiutato 6.500 persone a uscire da uno stato di fragilità e trovare un lavoro, una casa, la propria autonomia», spiega Emanuela Baio, presidente della Onlus milanese. «In 123 anni non ha mai interrotto il suo servizio per le ragazze, ampliandolo poi a mamme in difficoltà, minori e, più di recente, a donne vittime di violenza fisica, economica o psicologica».
Cinque sedi in Lombardia
La Fondazione adesso ha cinque sedi: tre in città, una a Sesto San Giovanni e una sul lago Maggiore, a Porto Valtravaglia (Varese), che accoglie maschi minorenni provenienti dal circuito penale, segnalati dai servizi sociali o migranti non accompagnati. «I nostri ospiti seguono corsi di lingua e imparano un lavoro grazie ai laboratori di florovivaismo, carpenteria navale, manutenzioni; dal 2026 cucina, panetteria, informatica e barberia», continua Baio. «E, dalla fine del prossimo anno, potranno contare anche sui nuovi laboratori della scuola alberghiera in corso di realizzazione».
Le case-rifugio
Asilo Mariuccia significa anche due case-rifugio per donne che hanno subito violenza, cinque appartamenti di housing sociale messi a disposizione dal comune di Corbetta, in provincia di Milano, e il Centro antiviolenza Ersilia Bronzini (in via Pacini a Milano). «Questo servizio, accreditato da Regione Lombardia nel 2024, è il coronamento delle attività di accoglienza che Asilo Mariuccia svolge da sempre», spiega la pedagogista Sofia Leda Salati, direttrice del Centro. «È aperto a donne vittime di abusi sessuali, fisici, psicologici o economici. Ma anche ad adolescenti, migranti, donne in una fase di emergenza o che, in passato, hanno subito violenza. Grazie al lavoro di uno staff permanente e di un’équipe di specialisti, il nostro Centro può accoglierle in cinque modi diversi, a partire dal servizio telefonico. Il numero 1522 è attivo 7 giorni su 7 24 ore su 24 per tutte le donne in difficoltà, incluse quelle già in carico che possono aver bisogno di un confronto o di una consulenza. Poi ci sono i colloqui, durante i quali cerchiamo di chiarire la situazione e di costruire, insieme alla donna, un progetto di fuoriuscita dalla violenza. Se però la situazione è troppo pericolosa per l’incolumità della donna, allora accogliamo lei e gli eventuali bambini in una casa-rifugio che, per ragioni di sicurezza, in certi casi deve rimanere segreta. È un momento molto faticoso e delicato per tutti, mamme e bambini, da seguire con grande attenzione».
In questi casi è inevitabile andare a processo e, per questo, il Centro antiviolenza di Asilo Mariuccia offre anche un servizio gratuito di consulenza legale e di patrocinio durante tutta la durata dell’iter giudiziario.
Una mano a molte straniere
Al lavoro prezioso delle mediatrici culturali (il 60% delle donne che si rivolge al Centro è di nazionalità straniera) si unisce infine, ma non meno importante, quello di consulenza psicologica. «Le vittime provengono sempre da una lunga storia di svalutazione e violenza psicologica, a volte non sanno dare un nome alle loro sofferenze, vanno aiutate a prendere coscienza di quanto hanno subito e accompagnate nel percorso che segue la denuncia», dice Salati. Spesso però questo non basta perché la gran parte di chi si rivolge a un Centro antiviolenza è vittima anche di un’altra violenza, quella economica: l’80% di loro non ha un lavoro né un conto in banca. La strada per affrancarsi, in questo caso, passa prima di tutto dalla formazione, come spiega la direttrice: «Dalle nozioni base di economia ai corsi di lingua o a quelli professionali, con l’aiuto delle assistenti sociali, non cerchiamo solo di offrire un rifugio nell’emergenza ma anche le basi per un futuro dignitoso. Per le donne e per i loro bambini».











