«Perché io no?». È la domanda che si fa ogni persona costretta su una sedia a ruote (sì, si dice così, non “a rotelle”) quando sfoglia un catalogo di viaggi o guarda un documentario su Discovery Channel. E ha ragione: perché lei o lui no?
Viaggio da sempre e ho fatto della mia passione il mio lavoro e la mia vita, considerando la possibilità di vedere il mondo non un privilegio ma una opportunità alla quale ogni persona ha diritto, anche se non può muoversi sulle proprie gambe. E tutto è cominciato con la musica, che dal Conservatorio di Milano mi ha portato lontano.

Musica, il primo amore
Il mio primo amore è stato il pianoforte. Amavo (e amo tuttora) il genere americano, il jazz, lo swing. E anche se ho avuto una formazione classica, studiando al Conservatorio di Milano, appena potevo facevo una “deviazione” verso la musica che sentivo più mia. Dopo il diploma ho iniziato a suonare nei piano bar milanesi e a 19 anni ho fatto la mia prima esperienza in un villaggio turistico. Così ho dato il via alla mia carriera tra il capoluogo lombardo – dove per 13 anni sono stato il primo pianista della catena alberghiera dell’hotel Michelangelo – e il resto del mondo, negli hotel e nei villaggi vacanze. E proprio qui mi sono posto la domanda: perché le persone con disabilità non viaggiano?

L’intuizione a servizio degli altri
La musica non era l’unico motore della mia esistenza. L’altra fonte di energia era il volontariato. Sin da ragazzo mi sono occupato di chi era meno fortunato di me, in particolare collaborando con la Fondazione Don Gnocchi e varie associazioni di settore, dando supporto ai ragazzi che avevano subito l’amputazione di un arto. Stare accanto a loro mi dava forza, un coraggio emotivo che ho usato come leva per guardare oltre e realizzare il mio progetto.
Perché i disabili non viaggiano? Quanti sono, chi li ascolta, dove trascorrono le vacanze? Era la fine degli anni 90 e in pochi si ponevano queste domande. Quindi ho iniziato a darmi da fare e a cercare delle risposte. Avevo capito cosa volevo fare “da grande”.
Da subito mi sono reso conto che quello dei viaggi per persone con disabilità era un terreno fertile, ma del tutto inesplorato, per non dire deserto. Così ho investito in questo settore, creando la prima agenzia di viaggi specializzata, dedicata a chi non può muoversi in autonomia, ma si sposta in sedia con ruote.

Luigi Passetto, fondatore della LP Tour Viaggi senza barriere, una delle prime agensie in Italia specialiszzata in viaggi accessibili a persone con disabilità motoria
Luigi Passetto, fondatore della LP Tour Viaggi senza barriere, una delle prime agensie in Italia specialiszzata in viaggi accessibili a persone con disabilità motoria

Luigi Passetto, fondatore della LP Tour Viaggi senza barriere, una delle prime agensie in Italia specialiszzata in viaggi accessibili a persone con disabilità motoria

Nel 2000 ho fondato la LP Tour - Viaggi senza barriere, che da 25 anni offre la possibilità di esplorare il mondo a persone con disabilità motoria: parliamo quindi di individui con patologie importanti come paraplegia, tetraplegia, emiparesi spastica, distrofia muscolare. Malattie che per molto tempo (troppo!) sono state considerate incompatibili con spostamenti per viaggi a lungo raggio, voli oltreoceano, lunghi periodi lontano da casa.

Itinerari cuciti su misura
Il segreto è mettersi nei panni del cliente viaggiatore. E nel mio caso il cliente è una persona con disabilità che non può muoversi in maniera autonoma, gelosa della sedia a ruote, di cui non può fare a meno. Entrare in connessione con lei, capire le sue esigenze e rassicurarla sul fatto che a destinazione saranno soddisfatte: questo è il mio compito. Amo definirmi “un sarto di viaggi”, perché cucio addosso alla persona l’itinerario più adatto a lei in base alle sue richieste e alle possibilità reali di soddisfarle, proprio come un vestito su misura.
Non basta promettere al cliente: «Ti porterò su una meravigliosa spiaggia bianca a Sharm el Sheik». Bisogna piuttosto rassicurarlo dicendogli: «Dall’hotel alla battigia troverai un percorso dedicato, una stuoia, una rampa accessibile che ti condurrà a una splendida spiaggia bianca. E una volta lì ci sarà una sedia JoB che ti consentirà di entrare in acqua». Perché a cosa serve arrivare dall’altra parte del mondo, magari in Messico, rimanendo poi inchiodati sulla sabbia senza la possibilità di fare il bagno? Inoltre, creando una agenzia di servizi specializzati ho evitato che le persone con disabilità venissero ghettizzate: essere sempre gli ultimi della fila, avere un trattamento diverso rispetto agli altri crea disagio e frustrazione. Trovarsi invece in un piccolo gruppo di persone con gli stessi bisogni dona al viaggio la giusta leggerezza, che lo rende piacevole e unico.

Nei panni di chi non cammina
Il mio lavoro è una sfida continua e nonostante i numerosi traguardi raggiunti in questi anni si può ancora migliorare. Promuovendo una reale cultura del viaggio, sia in chi organizza sia in chi si muove in giro per il mondo. I punti più critici? Prima di tutto l’assistenza, in base al vettore scelto dal cliente, che sia ferroviario, aereo o il proprio mezzo di trasporto. Poi la verifica dell’accessibilità: ogni itinerario che propongo è stato prima testato da me o dai miei collaboratori, per controllare che sia realmente fruibile dalla persona con disabilità motoria.
L’importante è mettersi dalla parte di chi si muove in sedia con ruote. Anche se ho la fortuna di avere l’uso delle gambe il mio primo pensiero è: «Qui la carrozzina ci passa?». Non faccio miracoli, ma realizzo desideri di persone che vorrebbero, ma forse non sanno che possono. Accompagnandole non solo in giro per l’Europa, ma anche in tante destinazioni nel mondo, quasi a divenire per me una continua sfida (Nuova Zelanda o Argentina).
Quando tornano a casa i miei clienti riprendono la vita di sempre, spesso complicata e monotona, chiusa tra le mura domestiche, ma sono felici perché si sono appropriati di un pezzo di mondo e hanno vissuto un’esperienza in cui erano protagonisti. Per questo sono pronti a ripartire.

Due sogni da realizzare
Nel cuore ho due sogni. Il primo riguarda l’inclusione. Vorrei vedere un direttore di villaggio turistico o di albergo in sedia a ruote. Conosco ragazzi disabili che parlano quattro o cinque lingue, e sarebbero perfettamente in grado di ricoprire questo ruolo garantendo, oltre alla competenza, la reale accessibilità dei servizi della struttura recettiva di dove lavorano. Impossibile? Non vedo perché.
Il secondo sogno è più complesso. È dedicato alle persone che non viaggeranno mai, pur desiderandolo fortemente, perché costrette a letto dalla malattia. Vorrei coinvolgerle grazie a un costante collegamento via web, rendendole partecipi dell’itinerario in ogni istante, dal check-in all’arrivo a destinazione, dalle escursioni ai pranzi di gruppo fino allo shopping dell’ultimo minuto perché anche loro scelgano un souvenir da portare a casa. Un modo per esserci (anche se non fisicamente), in cambio di un contributo di viaggio simbolico. Un modo per dire: «Sono stato a Cuba, sono stato in Vietnam», senza alzarsi dal letto ma vivendo in prima persona un’avventura dall’inizio alla fine.