Più di 230 milioni di donne nel mondo hanno subito una mutilazione genitale. Sebbene negli ultimi anni questa pratica sia in lieve calo, l’Onu stima che 27 milioni di ragazze saranno a rischio nei prossimi cinque anni se non verranno aumentate le azioni di contrasto al fenomeno.
Questa terribile forma di violenza è perpetrata in una trentina di Paesi tra Africa e Medio Oriente, ma persiste pure in alcune regioni dell’Asia e dell’America latina. Attraverso i flussi migratori è sbarcata anche in Italia, dove oltre 87mila donne (di cui 7.600 minorenni, per lo più di origine nigeriana ed egiziana) convivono con le conseguenze fisiche e psicologiche della mutilazione genitale, secondo quanto emerso da un’indagine dell’Università di Milano-Bicocca.
Nel 2006 il nostro Paese ha introdotto una legge che vieta questa pratica e stabilisce una serie di misure di prevenzione e assistenza a favore delle vittime, ma ancora oggi il personale sanitario non ha un’adeguata preparazione. Secondo uno studio condotto su 300 medici dall’Università Cattolica e dall’Istituto Superiore di Sanità, oltre il 60% degli operatori considera carente la propria formazione sul tema e circa il 70% non dispone di informazioni sufficienti per indirizzare le pazienti verso strutture specializzate.
«Per sanare questa situazione è da tempo scesa in campo la Società italiana di Chirurgia plastica ricostruttiva-rigenerativa ed estetica (Sicpre), con l’obiettivo di sensibilizzare sull’argomento e informare in merito alle tecniche ricostruttive che possono migliorare la vita delle pazienti», spiega il chirurgo plastico Massimiliano Brambilla, referente dell’ambulatorio di Ginecoplastica e rigenerazione tissutale genitale del Gruppo MultiMedica (nonché referente del capitolo di Chirurgia genitale femminile e maschile della Sicpre).

Il chirurgo plastico Massimiliano Brambilla, consulente del Gruppo Multimedica e referente per la Chirurgia genitale femminile e maschile della Sicpre: per 12 anni è stato volontario in Benin e nel Togo per eseguire interventi ricostruttivi su bambini con deformazioni come il labbro leporino.
Il chirurgo plastico Massimiliano Brambilla, consulente del Gruppo Multimedica e referente per la Chirurgia genitale femminile e maschile della Sicpre: per 12 anni è stato volontario in Benin e nel Togo per eseguire interventi ricostruttivi su bambini con deformazioni come il labbro leporino.

Il chirurgo plastico Massimiliano Brambilla, consulente del Gruppo Multimedica e referente per la Chirurgia genitale femminile e maschile della Sicpre: per 12 anni è stato volontario in Benin e nel Togo per eseguire interventi ricostruttivi su bambini con deformazioni come il labbro leporino.

Dottor Brambilla, il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili sta crescendo in Italia?
«Purtroppo, sì. Accade perché il numero delle migranti che si fermano nel nostro Paese è aumentato. Veniamo a conoscenza di un maggior numero di casi anche perché c’è più consapevolezza da parte delle vittime, che prendono coscienza delle violenze a cui sono state sottoposte grazie al prezioso e instancabile lavoro delle mediatrici culturali e delle psicologhe che collaborano con associazioni come ActionAid».

Quali donne arrivano nei vostri ambulatori?
«Sono per lo più pazienti di origine africana che ci vengono inviate dai ginecologi perché hanno problematiche così gravi da richiedere un intervento di tipo ricostruttivo. Parliamo di giovani donne che per colpa delle cicatrici non riescono a sedersi, convivono con infezioni e infiammazioni ricorrenti, hanno difficoltà nella minzione e non possono partorire naturalmente. Alcune vengono perché hanno difficoltà ad avere rapporti col partner e quando li hanno sono molto dolorosi».

Salute e medicina

Raffaela Di Pace: «Ossigeno e ozono per curare l’atrofia vulvovaginale»

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A che tipo di mutilazioni sono state sottoposte?
«Dipende dal Paese di origine. In alcuni casi la mutilazione è più contenuta e consiste nell’amputazione di parte delle piccole labbra e del prepuzio clitorideo. In altri casi la mutilazione è più aggressiva, come nel caso dell’infibulazione o circoncisione faraonica, che consiste in una resezione aggressiva dal clitoride fino alla parte terminale della vulva. Il processo di cicatrizzazione viene poi ottenuto mantenendo serrate le cosce per qualche settimana in modo tale che il restringimento della vulva sia il maggiore possibile».

Come vivono le menomazioni da un punto di vista psicologico?
«Molte donne non sono consapevoli della violenza a cui sono state sottoposte e vivono i dolori e i disagi quotidiani come qualcosa di normale a cui devono abituarsi, così come hanno fatto le loro mamme e nonne. È solo l’intervento di community leader, psicologhe e mediatrici culturali che permette di scalfire questa mentalità. Le mutilazioni comportano anche un forte stress e disagio psicologico, ma è difficile parlarne apertamente con le donne, che spesso non possono neppure decidere in autonomia per l’intervento chirurgico senza l’autorizzazione del marito se non addirittura della suocera».

Che strumenti offre la chirurgia ricostruttiva per restituire una vita più normale a queste pazienti?
«Come intervento di primo livello abbiamo la deinfibulazione rigenerativa, una procedura che si fa in day-hospital e che consiste nella riapertura della vulva e nell’iniezione di cellule staminali adipose, il lipofilling, per rigenerare e ammorbidire i tessuti sclerotici induriti dalle cicatrici, può essere ripetuto due o tre volte in un anno e si può eseguire anche nella regione clitoridea amputata, nel tentativo di ripristinare anche la sensibilità. Una tecnica molto interessante ma anche molto discussa, perché non ancora supportata da solidi dati scientifici, è quella della reinnervazione clitoridea: prevede il ripristino della sensibilità attraverso la microchirurgia dei collegamenti nervosi interrotti dall’amputazione. Infine, c’è la possibilità di ricorrere a un intervento per ripristinare le piccole labbra, più per motivi estetici che funzionali: la procedura è un po’ complessa e la sua opportunità va valutata attentamente caso per caso».

Quali risultati riescono a ottenere queste pazienti?
«Dopo l’intervento di rigenerazione la loro qualità di vita migliora notevolmente: in molti casi non si aspettano neppure dei risultati così eclatanti e sono molto felici e grate. Alcune di loro scoprono perfino per la prima volta il piacere nei rapporti intimi».

Cosa bisognerebbe fare per garantire queste opportunità a un maggior numero di donne?
«La Sicpre sta portando avanti una battaglia per l’istituzione di centri multidisciplinari ospedalieri per la cura e la ricostruzione delle donne sottoposte a mutilazioni genitali (MGF Unit). Abbiamo iniziato a parlare di questo progetto nel 2019, con l’idea di sfruttare le competenze già presenti sul territorio per metterle insieme sul modello delle Breast Unit, presenti in Italia per la cura del tumore del seno».

Quali specialisti lavorano in queste unità?
«Il ginecologo rappresenta la figura cardine, a cui si affianca poi il chirurgo plastico rigenerativo, l’urologo, lo specialista di riabilitazione del pavimento pelvico e ovviamente anche psicologi, mediatori culturali e assistenti sociali. La multidisciplinarietà all’interno del lavoro di squadra è la chiave per ottenere i risultati migliori».

Ci sono realtà già attive in Italia?
«Oltre alla nostra unità operativa su Milano, alla MultiMedica, ne abbiamo una appena inaugurata a Pisa, mentre su Roma stiamo potenziando alcune connessioni che presto potranno dare vita a un’altra unità. Il nostro obiettivo è quello di avere tre centri super specialistici dove possano essere indirizzati i casi più complessi da tutta Italia. Stiamo inoltre lavorando per formare i medici e fornire loro un’adeguata preparazione per poter realizzare interventi rigenerativi su tutto il territorio nazionale».