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Riguarda almeno sei donne su dieci dopo la menopausa, ma può presentarsi anche in giovane età. Si chiama atrofia vulvovaginale e provoca secchezza, irritazione e prurito nelle parti intime, dolore durante i rapporti sessuali (dispareunia) e a volte durante la minzione (disuria).
«La patologia dell’apparato genitale femminile è dovuta al fatto che le ovaie cessano di secernere gli ormoni riproduttivi, gli estrogeni», spiega Raffaela Di Pace, ginecologa e sessuologa clinica, dottoressa di ricerca in Fisiopatologia della menopausa all’ospedale Humanitas San Pio X di Milano, intervistata per BenEssere da Agnese Pellegrini. «Per fortuna oggi siamo in grado di trattarla con creme idratanti, ormoni e terapie fisiche che offrono enormi benefici, tra cui quella con ossigeno e ozono».
Dottoressa Di Pace, qual è l’origine dell’atrofia vulvovaginale?
«La riduzione dei livelli di estrogeni soprattutto e di testosterone, dovuta alla fine dell’età fertile, causa cambiamenti a livello di cute e mucosa della vulva e della vagina, caratterizzati da assottigliamento dei tessuti, riduzione delle lubrificazioni e della elasticità, maggiore secchezza e friabilità con predisposizione alle lesioni».
Chi colpisce?
«L’alterazione ormonale si verifica fisiologicamente con la menopausa. Tuttavia, possono essere colpite anche le donne più giovani, specie se assumono una pillola contraccettiva a dosaggio troppo basso. Capita poi, a volte, durante l’allattamento e a tutte quelle donne che hanno una menopausa precoce indotta da trattamenti antitumorali (chemioterapia, radioterapia, asportazione delle ovaie). La stima ufficiale è che questa patologia colpisca in menopausa circa il 60% delle pazienti. In realtà, il numero è sottostimato, sia perché le donne non lo riferiscono, per pudore, sia perché esiste una scarsa sensibilità sull’argomento da parte della classe medica».
Quali sono i sintomi a livello locale?
«La secchezza e il dolore durante i rapporti sessuali, soprattutto all’ingresso vaginale, sono i sintomi principali, ma non gli unici. Infatti, si parla più correttamente di sindrome genito-urinaria della menopausa, perché c’è il coinvolgimento anche dell’apparato urinario, con infezioni e cistiti recidivanti, sensazione di prurito e bruciore, disuria (fastidio o dolore mentre si urina), minzione frequente e difficoltà a trattenere la pipì».
Al di là dei problemi fisici, ci sono anche difficoltà psicologiche che le donne vivono…
«Il problema è proprio questo: non si tratta soltanto di una malattia con conseguenze a livello fisico, perché i disturbi che determina influiscono molto sulla psicologia della donna. Il benessere sessuale fa parte degli indici della qualità di vita. È naturale che se viene a mancare, perché i rapporti diventano dolorosi, può peggiorare la qualità della propria vita affettiva e relazionale».
Perché spesso, allora, l’atrofia non è riconosciuta?
«Esiste una scarsa sensibilità a livello della classe medica, prima di tutto. E poi c’è da dire che, essendo una malattia legata alla sfera sessuale, le pazienti sono imbarazzate nel confidare il proprio problema».
Come si effettua la diagnosi?
«Con una visita ginecologica, non occorrono test particolari, basta ascoltare la paziente per fare una corretta anamnesi. Poi, se ci sono infezioni ricorrenti, si può eseguire l’analisi del pH vaginale o un tampone vaginale anche con valutazione del microbioma che nelle pazienti con atrofia vulvovaginale può risultare alterato».
Dottoressa, dall’atrofia si guarisce?
«No, perché la causa è la mancanza di ormoni: se, per via della menopausa o di altre condizioni, non sono più prodotti, non si può tornare indietro. Però, si può curare attraverso varie strade. Pochi ancora la conoscono ma c’è la terapia con ossigeno e ozono».
In che cosa consiste?
«La terapia si basa sull’uso combinato di ossigeno e ozono, che vengono nebulizzati all’interno della vagina, in maniera indolore. Si utilizzano piccole cannule che, posizionate a livello vaginale e vulvare, permettono di liberare ossigeno e ozono. I gas, sotto pressione, penetrano profondamente nei tessuti. In questo modo, aumenta la vascolarizzazione, si riattiva il microcircolo, si ristabilisce il metabolismo cellulare e si rigenerano i tessuti, migliorandone l’elasticità e il trofismo. Ossigeno e ozono hanno anche un’azione antinfiammatoria e battericida e per questo sono utilissimi in caso di infezioni ricorrenti».
Occorrono molte sedute?
«Si effettuano dei cicli di trattamento, la cui durata è variabile. Nel tempo, però, devono essere ripetuti».
Sono davvero validi questi trattamenti?
«Sì, assolutamente. Gli unici problemi sono legati ai costi, perché al momento le terapie non vengono rimborsate dal Servizio sanitario nazionale nemmeno nelle pazienti oncologiche. Il beneficio, poi, è limitato nel tempo, quindi la terapia va ripetuta».
Quali sono i vantaggi della terapia con l’ossigeno e l’ozono?
«Non è dolorosa, è sicura ed efficace. Mi sento di consigliarla a tutte le pazienti. E rappresenta una valida alternativa per tutte quelle donne che non possono fare la terapia ormonale. Infine, è certamente più comoda dell’utilizzo permanente di ovuli o creme. Non bisogna provare disagio a parlare della propria salute intima: a volte, basta davvero poco per tornare a sentirsi in piena salute e appagate».
Ci sono altre terapie fisiche?
«Principalmente il laser e la radiofrequenza, che hanno l’obiettivo di ripristinare una mucosa vaginale normale. Il ciclo di sedute e la durata sono variabili a seconda della metodica e delle caratteristiche delle pazienti, e dopo uno o due anni vanno ripetuti. Esistono anche tecniche che prevedono l’impiego di acido ialuronico o sostanze biorivitalizzanti, somministrate attraverso elettroporazione o iniezioni, per far penetrare a un livello più profondo i principi attivi».
E c’è la terapia sostitutiva ormonale…
«Tra le indicazioni della terapia ormonale sostitutiva (Tos) per via sistemica sono inclusi proprio i sintomi urogenitali. Ma se questi sono gli unici riportati dalla paziente, meglio la somministrazione di estrogeni e di testosterone per via vaginale, che ripristina il normale pH, ispessisce l’epitelio e aumenta la lubrificazione».
Che ormoni si prescrivono?
«Di solito si somministrano estrogeni associati a un’adeguata dose di progestinici nelle donne che hanno l’utero, in modo da riportare l’organismo a un equilibrio simile all’età fertile, abbattendo la secchezza vaginale, i dolori, ma anche altri sintomi come vampate e insonnia. Ci tengo a precisare che la Tos va prescritta in base a diversi criteri personalizzati, valutando caso per caso. Ma, ripeto, l’atrofia vulvovaginale è uno di quei casi per cui è indicata».
Sulla terapia sostitutiva ormonale pesano pregiudizi…
«Se si fa un bilancio, i vantaggi superano di gran lunga i rischi, soprattutto se la terapia viene prescritta subito dopo la menopausa e in donne giovani che hanno meno di 60 anni. Gli studi che hanno portato alle conclusioni contrarie alla Tos si basano su farmaci usati in passato, sostituiti da medicinali migliori. L’aumento di rischio di cancro al seno con la Tos è molto piccolo e si riferisce tra l’altro a stime su donne che hanno impiegato combinazioni ormonali poco diffuse in Italia, dove invece si utilizzano molecole più vicine a quelle prodotte dall’organismo in modo naturale».
Il rischio c’è anche con la Tos per via vaginale?
«È indicata proprio in caso di atrofia e gli studi confermano che non aumenta il rischio di tumore alla mammella. Tuttavia, ci sono donne che non possono assumere ormoni: penso a chi ha avuto un tumore ormone-sensibile, per esempio. Per loro, si punta sulle terapie fisiche come quella a base di ossigeno e di ozono».