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Una scena di Assassinio sull'Orient Express, film diretto nel 2017 da Kenneth Branagh tratto dall'omonimo romanzo giallo di Agatha Christie
A cinquant’anni esatti dalla scomparsa, avvenuta il 12 gennaio 1976, Agatha Christie continua a detenere lo scettro di “regina del giallo”: un titolo che non deriva soltanto dall’immensa popolarità dei suoi romanzi, ma anche dalla capacità - rara, quasi irripetibile - di costruire ingranaggi narrativi talmente perfetti da essere diventati un modello per generazioni di scrittori. Le sue storie di crimini e misfatti si seguono ancora oggi col fiato sospeso, come se Miss Marple e Hercule Poirot, ormai entrati nell’immaginario collettivo, potessero bussare alla porta in qualsiasi momento.
Nelle ultime stagioni della sua prolifica carriera, la scrittrice inglese aveva consegnato al pubblico Sipario (1975), dove si compie l’uscita di scena di Poirot, e Addio Miss Marple, uscito postumo nel 1976. Ed è proprio in questi testamenti narrativi che i due investigatori si congedano con lo stesso aplomb con cui in passato avevano risolto decine di casi che risultano attuali anche riletti a distanza di tempo.
In realtà, ciò che ci affascina dei gialli di Agatha Christie (ma non solo) va ben oltre la geniale architettura degli intrecci che si ritrova in capolavori come Dieci piccoli indiani - trama senza detective in cui dieci estranei vengono uccisi uno dopo l’altro su un’isola deserta seguendo i versi di una filastrocca - ed è qualcosa di molto più profondo.
Ci immergiamo nella storia
Perché la lettrice e il lettore, ieri come oggi e a qualunque età, provano un piacere così intimo nello scandagliare i meandri della menzogna umana? E come mai l’omicidio, descritto sulla pagina, affascina invece di spaventare?
La risposta non ha a che fare con una presunta attrazione per il crimine, ma con la naturale struttura della nostra mente: che ha sete di ordine e giustizia nel caos, che è soddisfatta quando un puzzle di indizi si ricompone, e si rasserena se un enigma trova una soluzione.
«A differenza di altri generi letterari, il giallo ha una duplice valenza», spiega Claudio Lucchiari, professore associato di Psicologia generale all’Università degli Studi di Milano. «Da un lato coinvolge emotivamente per la presenza della suspense, che ci immerge in prima persona nella storia ma, dall’altro, stimola anche l’intuito, la memoria e la capacità di speculazione, funzionando come un’ottima palestra sotto il profilo cognitivo oltre che emotivo».
Il lettore, infatti, non è mai passivo: osserva, confronta versioni, deduce, sospetta. Inoltre, «quando si legge un giallo, si possono indossare i panni dell’eroe positivo - in genere il detective - ma anche quelli del killer, calandosi in ruoli e dimensioni psicologiche ambigue, che nella vita quotidiana si rifiutano per ragioni morali», continua Lucchiari. «All’interno del contesto controllato della finzione letteraria, si ha poi la possibilità di sperimentare emozioni potenzialmente destabilizzanti, come paura, spavento e inquietudine, ben sapendo che verranno risolte dall’individuazione del colpevole e dal chiarimento del mistero, esattamente come accadrebbe in un processo di guarigione. Infine, un altro elemento che alimenta la passione per i gialli è la curiosità per la morte: conoscerla da vicino, definirla con le parole giuste e studiarla nei minimi dettagli diventa una sorta di rituale per esorcizzarla».
Seguiamo il pericolo
Questa fascinazione profonda, che unisce mistero, paura controllata e desiderio di verità, ha trovato conferma anche nella ricerca neuroscientifica. Diversi studi hanno analizzato come la suspense influenzi le funzioni neurologiche. Il ricercatore statunitense Matthew Bezdek, per esempio, ha utilizzato la risonanza magnetica funzionale per misurare l’attivazione cerebrale di un gruppo di 21 studenti universitari durante la visione di film ad alta tensione. I risultati apparsi sulla rivista Biological Psychology mostrano che in questi casi si registra un fenomeno simile a una “visione a tunnel”: in altre parole, quando il protagonista è in pericolo, si intensifica l’attività della corteccia visiva primaria, mentre si riduce quella delle aree che elaborano le informazioni periferiche; la concentrazione diventa così intensa e focalizzata da far quasi dimenticare ciò che ci circonda, e lo stesso effetto immersivo può essere indotto da un giallo avvincente.
La conferma di questo meccanismo arriva anche da un altro test condotto da Lehne, Engel, Koelsch e altri ricercatori nelle università di Berlino e Dresda e pubblicato PlosOne, che ha studiato tramite risonanza magnetica l’attività cerebrale di un gruppo di adulti mentre leggevano L’uomo della sabbia di E.T.A. Hoffmann: si è visto che la suspense sollecita alcune aree del cervello implicate nell’attività di cognizione sociale, come simulare i pensieri o le intenzioni di un personaggio, ma anche nel processo predittivo. Che cosa significa? «Quando leggiamo un giallo, ci esercitiamo a elaborare ipotesi e a gestire, all’occorrenza, anche imprevisti e situazioni d’incertezza nel mondo reale», osserva Lucchiari, che è autore, con Marta Cadei, del saggio L’enigma della mente. Romanzo giallo e psicologia (Morcelliana). «Dal punto di vista cognitivo, inoltre, concentrarsi sull’intreccio di una detective story stimola la flessibilità mentale e la capacità di elaborare le informazioni che abbiamo a disposizione con il giusto distacco emotivo: un po’ come se - calandosi nella trama - si partecipasse a un gioco di società che allena la mente a trovare soluzioni».
Il thriller e il noir
Agatha Christie è fra i pochi autori ad aver avvicinato il lettore al fascino delle crime story senza mai scadere nella violenza fine a sé stessa: lo dimostrano bestseller come il magistrale Assassinio sull’Orient Express, ma lo stesso schema si ritrova anche in successi come L’enigma dello spillo di Edgar Wallace o Uno studio in rosso di sir Arthur Conan Doyle.
Nel tempo, il poliziesco classico si è contaminato anche con caratteristiche tipiche del thriller e del noir, che si ritrovano nei romanzi psicologici come Il talento di Mr. Ripley di Patricia Highsmith o Misery di Stephen King. «Sono format narrativi che permettono di esplorare una dimensione psichica oscura che innalza il livello di empatia nei confronti della vittima, che dev’essere in qualche modo vendicata», commenta l’esperto. «In questi contesti probabilmente entrano in gioco i neuroni specchio, scoperti sul finire del Novecento da Giacomo Rizzolatti e dal suo team dell’Università di Parma. Si tratta di speciali cellule nervose situate nella corteccia motoria che si attivano quando si compie un’azione ma anche se si guarda qualcuno che esegue un gesto o un movimento o quando se ne registrano le reazioni emotive, come un sorriso o una crisi di pianto, ed è una dinamica che si può riscontrare anche durante la lettura di un giallo, nel momento in cui si condividono le vicende dei personaggi».
Fra gli appassionati del genere, non mancano i cosiddetti sensations seekers (“cacciatori di sensazioni”), persone che, per provare piacere, cercano esperienze intense e capaci di elevare l’arousal, e cioè lo stato di attivazione fisiologica e psicologica che si manifesta in risposta a stimoli interni o esterni: un esempio può essere proprio un giallo ben costruito, che può effettivamente modificare parametri fisiologici come la frequenza cardiaca, la sudorazione e la dilatazione delle pupille.
La moda del true crime
«Le storie più potenti, capaci di creare un’intrigante sovrapposizione di piani fra funzione e realtà, sono soprattutto quelle in cui il fondale è noto, come nel caso dei gialli d’ambiente italiano», dice lo psicologo. Ecco perché ci sentiamo più intimamente coinvolti nelle avventure siciliane del commissario Montalbano di Andrea Camilleri o nei dossier affrontati dall’avvocato barese Guido Guerrieri, creato dalla penna di Gianrico Carofiglio, e allo stesso modo ci attraggono le storie di “mala” milanese magistralmente cesellate da Giorgio Scerbanenco e quelle ambientate nei contesti urbani e rurali emiliani da Carlo Lucarelli.


Le indagini di Lolita Lobosco è la serie televisiva che vede Luisa Ranieri protagonista, dai libri di Gabriella Genisi. La quarta stagione è prevista per l’autunno 2026.
Si spiega così anche l’enorme successo in libreria (come pure in versione podcast) del true crime: l’ultima frontiera del giallo basata sulla narrazione di omicidi, rapimenti e altre vicende di cronaca descritti con particolare attenzione per la ricostruzione documentale e per lo studio dei contesti psicologici e sociali in cui i fatti sono avvenuti. «Il boom del true crime si giustifica anche con l’odierna e diffusa passione per il macabro, alimentata dalle dettagliate narrazioni degli eventi criminosi che ormai circolano senza filtri sui media tradizionali e su social», chiarisce Lucchiari. «Nei gialli basati su storie che coinvolgono persone vere, si rimette in scena la crudezza degli eventi, e si entra in contatto con la dinamica della violenza e con la mente di un “cattivo” che, però, non è una figura d’invenzione. Eppure quest’opera di rilettura del crimine a posteriori, spesso corredata da nuove testimonianze e da retroscena inediti, ha anche dei risvolti positivi: se per esempio si parla di un femminicidio, rievocarne le circostanze può servire a comprenderne le dinamiche sottostanti, sia a livello cognitivo che emotivo e sociale, e a riconoscere le situazioni di potenziale pericolo e gli errori da non commettere, migliorando consapevolezza e self control».
L’ascesa delle serate a tema: cena con delitto
Negli ultimi anni si è diffuso anche in Italia il trend anglosassone degli “eventi in giallo”: cene con delitto e serate a base di giochi investigativi che permettono ai partecipanti di vivere la trama in prima persona. In queste occasioni, non si è più semplici spettatori o lettori, ma si agisce da protagonisti dentro la storia, grazie a costumi, trucco e scenografie che favoriscono l’immersione in una dimensione parallela ma con risvolti reali, che provocano un’intensa sollecitazione cerebrale.
«Chi ama i gialli appartiene a due grandi categorie di persone: l’introverso, che apprezza soprattutto l’aspetto logico dell’indagine e il ragionamento che porta a svelare il mistero, e l’estroverso, che invece si lascia trasportare dall’atmosfera, immedesimandosi nei personaggi, nei loro pensieri e nelle loro tensioni», spiega Lucchiari. «Di solito sono soprattutto gli estroversi a trovare negli eventi in giallo i maggiori stimoli emotivi: interpretare un ruolo, buono o malvagio che sia, permette infatti di esplorare e condividere sentimenti e reazioni in un ambiente protetto, dove si possono esternare valenze che nella vita reale verrebbero censurate». Non a caso, a livello neurochimico durante queste esperienze il corpo reagisce come se la storia fosse vera. «La suspense può aumentare la sintesi di adrenalina, la curiosità attiva la dopamina, e il piacere di sentirsi protagonisti favorisce il rilascio di endorfine, neurotrasmettitori che agiscono come analgesici e oppioidi naturali», conferma lo psicologo. «Il giallo agito e “vissuto” dal vivo lascia nella memoria tracce molto più marcate rispetto alla semplice lettura di un libro».











