Ho 34 anni e convivo da sempre con l’emicrania. Ho fatto una visita specialistica da un neurologo, che mi ha consigliato i farmaci biologici. Vorrei sapere se sono davvero così efficaci e se ci sono rischi.
Fabiola I., Trieste

La risposta di Fabio Marchioretto, direttore dell’unità operativa complessa di Neurologia dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, Verona (testo raccolto da Romina Gobbo)

Gentile Fabiola, per biologici si intendono farmaci ottenuti a partire da materiale biologico e non per sintesi chimica. Nel caso dell’emicrania si usano anticorpi, detti monoclonali perché sono cloni di cellule immunitarie isolate e lavorate in laboratorio. Vanno ad agire contro una proteina specifica, la Cgrp (Calcitonin gene-related pectide), coinvolta nei meccanismi di trasmissione centrale del dolore.
A differenza dei vecchi medicinali per il mal di testa, hanno una tollerabilità ottima e un elevato profilo di sicurezza. Si somministrano con penne-siringhe monodose, preriempite, semplici da usare: una volta al mese il paziente effettua un’iniezione sotto cute (in zona addominale, ma anche sul gluteo o sulla coscia).

I costi
Il problema è che sono ancora molto cari. Il costo a persona è di oltre 600 euro al mese se il paziente acquista il farmaco a proprie spese, mentre per poter accedere a questo trattamento attraverso il Servizio sanitario nazionale sono richiesti specifici requisiti, in primis la precisa definizione diagnostica secondo i criteri Ichd-3 (International classification of headache disorders-3).

Chi ne ha diritto
Per contrastare l’emicrania, esistono delle terapie cosiddette di prima linea. Sono farmaci tradizionali, che hanno un profilo di efficacia inferiore e maggiori effetti collaterali: l’amitriptilina, il propanololo, la flunarizina, il topiramato. Poi esiste la terapia di seconda linea, che è la tossina botulinica, che blocca i mediatori responsabili della trasmissione della sensazione dolorosa.
Potremmo considerare gli anticorpi monoclonali come la terza linea. Ne hanno diritto i pazienti sopra i 18 anni che manifestino un’emicrania invalidante ad alta frequenza (almeno otto giorni al mese) e protratta per almeno tre mesi consecutivi, e che abbiano testato senza risultati almeno tre terapie preventive di classe precedente, effettuate per almeno sei settimane. Ne hanno diritto anche i pazienti con emicrania cronica, che significa per più di quindici giorni al mese. Chi ha questi requisiti, può rivolgersi alle strutture selezionate dalle varie regioni.

Il tipo di mal di testa
L’emicrania è la forma di mal di testa più comune tra le forme di cefalea a elevata intensità. Si presenta con un dolore acuto o pulsante che solitamente inizia nella parte anteriore o su un lato della testa. L’attacco può salire di intensità, estendersi alla regione frontale, coinvolgendo la fronte e le tempie. A volte si associa a nausea, vomito, fotofobia, fonofobia e peggiora con i movimenti del capo o i cambi posturali.
L’Organizzazione mondiale della sanità la definisce come la prima causa di disabilità, intesa come perdita o ridotta performance lavorativa o di studio, nelle persone al di sotto dei cinquant’anni di età in Occidente. In Italia ne soffre circa il 14% della popolazione, con una netta prevalenza femminile.
L’emicrania ha un picco di incidenza intorno ai 13-14 anni di età, e un picco di prevalenza tra i 30 e i 50, cioè nella fase della vita in cui la persona vive la sua massima progettualità, per costruirsi una famiglia, per i figli, il lavoro.

I fattori scatenanti
Pur essendo una malattia che deriva dalla genetica, risente di qualunque condizione di squilibrio psicofisico. Sarebbe utile cercare di evitare i trigger, cioè i fattori scatenanti. Alcuni non sono modificabili, come l’attività ovarica, la fase mestruale. Altri, invece, sono modificabili perché sono legati ai nostri comportamenti. Bisogna evitare il troppo e il troppo poco. Mangiare troppo, ma anche digiunare è un fattore scatenante. Dormire poco, ma anche dormire più del solito. Lo stress, ma anche il rilassamento.

Il monitoraggio costante
Tornando ai monoclonali, i pazienti devono essere regolarmente monitorati, attraverso il questionario Midas che valuta la disabilità legata all’emicrania. Se dopo tre mesi di trattamento c’è stata una riduzione di almeno il 50% della frequenza degli attacchi, la cura viene garantita per altri tre mesi. La procedura serve all’Aifa per verificare che il farmaco sia efficace, visto che i costi sono elevati.
Dopo un anno di cura, s’impone uno stop. Se durante il periodo di sospensione, si dovesse assistere a un nuovo peggioramento, il trattamento verrà garantito per un altro anno. Va detto che, in moltissime persone, dopo i cinquant’anni, l’emicrania tende a essere meno frequente e addirittura tende a recedere spontaneamente.