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In Italia esplodono le richieste dei due nuovi farmaci chiamati “anti-fame” e “anti-grasso”, parenti del capostipite Ozempic e divenuti star dei social dopo aver fatto dimagrire attrici di Hollywood e l’uomo più ricco del mondo, il molto discusso Elon Musk.
Si trovano sotto forma di penne pre-riempite da conservare in frigo, simili alle iniezioni che contengono l’insulina per i diabetici, e si possono acquistare dietro presentazione della ricetta (ripetibile) compilata dal medico, che sia specialista o di famiglia, a totale carico del paziente.
Il primo è a base di semaglutide, venduto con il nome commerciale di Wegovy, il secondo è Mounjaro, che ha come principio attivo la tirzepatide.
«Con la recente autorizzazione alla vendita da parte dell’Aifa, c’è stata un’impennata di prescrizioni ai pazienti con obesità», spiega Marco Chianelli, coordinatore della Commissione obesità dell’Associazione medici endocrinologi (Ame).
È una rivoluzione mondiale
È cambiato tutto nel giro di pochissimi mesi, perché fino all’estate del 2024 i farmaci venivano prescritti solo nell’1-2% dei casi.
«Ormai proponiamo la terapia con semaglutide e tirzepatide all’80% dei pazienti che hanno necessità di perdere molti chili e per cui è indicato quel trattamento», aggiunge Patrizia Rovere Querini, direttrice dell’unità operativa di Medicina Generale a indirizzo salute metabolica e invecchiamento e co-direttrice del Centro di eccellenza di salute metabolica presso l’ospedale San Raffaele di Milano. «È importante che i medici prendano in carico il paziente nella sua totalità, non ci si può limitare alla ricetta».


È una rivoluzione mondiale. Le vendite di Wegovy avevano fatto addirittura salire nel 2023 il Prodotto interno lordo della Danimarca, dove ha sede l’azienda che lo produce, la Novo Nordisk.
La casa farmaceutica Eli Lilly ha riferito che il fatturato mondiale del “suo” Mounjaro nel quarto trimestre del 2024 è aumentato del 60%.
Ozempic era nato per i diabetici
La semaglutide è una vecchia conoscenza del mondo farmaceutico, perché era stata sviluppata una decina di anni fa per il diabete di tipo 2, la malattia che provoca glicemia alta. Quando nella pratica clinica ci si è accorti dell’effetto dimagrante della molecola, alcuni medici hanno iniziato a prescrivere l’Ozempic in modalità off label, cioè per trattare un problema di salute (l’obesità) diverso da quello per cui era stato sviluppato il principio attivo (il diabete). Sono stati avviati studi sui pazienti con risultati definiti “impressionanti” dalla rivista Science. I farmaci sono arrivati nel 2024 in Italia, dove si stimano 17 milioni di adulti in sovrappeso e oltre 4 milioni con obesità, con un trend in costante crescita.
Il potere dei nuovi prodotti sta nell’indurre un dimagrimento notevole senza grande fatica: la persona che ha la necessità di smaltire chili avverte meno appetito e perciò mangia meno. Ma i vantaggi riguardano anche la salute in generale.
La salute generale migliora
«Ogni giorno sembra che ci sia un nuovo studio che porta notizie entusiasmanti», ha scritto il settimanale britannico The Economist. «Prima i farmaci hanno contrastato il diabete. Poi, con una sola iniezione a settimana, hanno combattuto l’obesità. Ora si scopre che possono trattare malattie cardiovascolari e renali e sono in fase di sperimentazione per l’Alzheimer e le dipendenze. È ancora presto, ma hanno tutte le caratteristiche per diventare una delle classi di farmaci di maggior successo nella storia. Man mano che diventano più economici e facili da usare, promettono di migliorare drasticamente la vita di oltre un miliardo di persone, con profonde conseguenze per l’industria, l’economia e la società».
Mimano l’ormone della sazietà
Ma come funzionano? «Semaglutide e tirzepatide sono di fatto ormoni sintetici che mimano l’azione dell’ormone prodotto dalle cellule presenti nella parete del tubo digerente in risposta all’arrivo del cibo», spiega Alfredo Pontecorvi, professore ordinario di Endocrinologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’unità operativa di Medicina interna, Diabetologia ed Endocrinologia del Policlinico Gemelli di Roma. «Perciò stimolano la produzione di insulina e inibiscono quella del glucagone (uno degli ormoni controregolatori dell’azione insulinica). Inoltre, rallentano lo svuotamento gastrico, cioè fanno aumentare il tempo di permanenza del cibo nello stomaco, con la conseguenza che si ha un assorbimento più lento degli zuccheri, accompagnato da un minore appetito». Mentre l’azione dell’ormone naturale si esaurisce in breve tempo, quella dei farmaci dura molto più a lungo.
«La tirzepatide agisce come la semaglutide ma in più si lega anche al recettore di un altro ormone del tratto gastrointestinale, che svolge il ruolo più importante nel controllo della secrezione insulinica in risposta al pasto», continua Pontecorvi.
Si riduce l’appetito
Andiamo nel dettaglio. Wegovy, con un dosaggio massimo di semaglutide più alto dell’antidiabetico Ozempic, si trova sotto forma di penne preriempite da 0,25 a 2,4 milligrammi, che il paziente può autosomministrarsi da solo a casa per via sottocutanea nell’addome, nella coscia o nella parte superiore del braccio. Il principio attivo imita l’azione dell’ormone naturale GLP-1 (glucagon-like peptide 1), che circola nell’organismo dopo il pasto e che ha tre funzioni fondamentali:
• ridurre la fame e aumentare il senso di sazietà;
• sollecitare la secrezione dell’insulina per tenere sotto controllo la concentrazione di glucosio nel sangue;
• frenare la produzione del glucagone, una sostanza che accresce il livello degli zuccheri in circolo.
Si comincia con un dosaggio basso del farmaco e si passa gradualmente a dosi più elevate. Facendo un’iniezione sottocute di Wegovy alla settimana, si stima che si perda dal 15 al 18% del peso corporeo: vuol dire, per esempio, che da 120 chili iniziali si può passare a 98-102 in un tempo variabile che dipende dalla risposta del paziente. Si preferisce dosare il farmaco in modo che il dimagrimento ottenuto in una settimana sia compreso tra 0,5 e 1 chilo.
«Il farmaco ha una buona tollerabilità gastrointestinale e il grande vantaggio della somministrazione settimanale», spiega Chianelli, che è responsabile del Centro obesità all’ospedale Città di Aprilia nel Lazio. «La semaglutide migliora inoltre la glicemia, la steatosi epatica, l’assetto lipidico e ateroscolerotico e di conseguenza anche il rischio cardiovascolare».
Una conferma è arrivata dall’ultimo congresso dell’American College of Cardiology, dove sono stati presentati i nuovi dati dello studio osservazionale “Score” condotto nella pratica clinica: dimostrano che, nelle persone con obesità l’assunzione di semaglutide al dosaggio di 2,4 milligrammi si associa a un rischio significativamente inferiore di eventi cardiovascolari avversi maggiori, come infarto e ictus, e a una riduzione dell’86% della mortalità per tutte le cause.
Si perde fino al 25% del peso
Il secondo farmaco disponibile dallo scorso ottobre in Italia è Mounjaro, con dosaggi da 2,5 fino a 10 milligrammi di tirzepatide. Anche questo principio attivo, preso in prestito dalla diabetologia, va iniettato sottocute una volta alla settimana, ma rispetto alla semaglutide agisce in modo duplice, mimando l’azione del GLP-1 e quella di un altro ormone del tratto gastrointestinale, GIP, che svolge il ruolo più importante nel controllo della secrezione insulinica in risposta al pasto.
Spiega Pontecorvi: «Dallo studio Surmount-2 pubblicato ad agosto 2023 su The Lancet, è emerso che il 70% circa dei pazienti obesi diabetici trattati con tirzepatide ha perso più del 10% del proprio peso corporeo e un 34%, cioè un terzo dei partecipanti, è arrivato a perderne oltre il 20%. Un calo che supera il 25% del peso corporeo è stato osservato nel 17% dei pazienti dopo 72 settimane di terapia. Sono risultati strabilianti».
E ci sono gli effetti sulla salute. «È provata l’efficacia in diverse patologie associate all’obesità, come la steatosi epatica, le apnee notturne e le patologie cardiovascolari», dice Chianelli, «e sono state avviate sperimentazione cliniche per valutarne l’uso in prevenzione cardiovascolare primaria, cioè nelle persone con obesità che presentano diversi fattori di rischio per le malattie cardiovascolari».
Indicati anche per il sovrappeso
L’uso di semaglutide e tirzepatide è indicato per due tipologie di pazienti:
• quelli con obesità e un indice di massa corporea superiore a 30;
• quelli in sovrappeso con indice di massa corporea tra 27 e 30 e almeno una malattia associata (come ipertensione o dislipidemia).
«È evenienza comune, di cui spesso però non c’è consapevolezza, che le persone in sovrappeso abbiano qualche problema», afferma Rovere Querini, che è anche professoressa associata di Medicina interna all’Università Vita-Salute San Raffaele. «Basti pensare che il 60% dei pazienti che si rivolgono al nostro ambulatorio arrivano con almeno due malattie metaboliche non controllate che non sanno neppure di avere, come l’ipertensione e il pre-diabete».
I costi e gli effetti collaterali
Molti pazienti interessati all’uso dei nuovi farmaci hanno spesso aspettative esagerate che non tengono conto di quattro fattori fondamentali:
• i possibili effetti collaterali;
• i risultati reali che si possono ottenere;
• la durata complessiva della terapia;
• i costi.
Come tutti i medicinali, anche questi farmaci non sono esenti da effetti indesiderati. I più comuni sono nausea, vomito, stitichezza, raramente diarrea. A volte stanchezza, in alcuni casi calcoli alla colecisti, rari i casi di pancreatite. Bisogna poi considerare la perdita di massa muscolare, che va attentamente valutata e frenata attraverso un’alimentazione più ricca di proteine e un’adeguata attività fisica.
Per quanto riguarda i risultati sulla bilancia, non bisogna farsi ingannare troppo dai numeri. «Quando diciamo che si può avere un dimagrimento del 17% o del 22,5%, indichiamo il valore medio raggiungibile alla dose massima del farmaco: il dato reale però varia da paziente a paziente», spiega Chianelli. «La cosa positiva che abbiamo scoperto in questi mesi è che non bisogna sempre ricorrere a dosi massimali. Molti pazienti rispondono bene anche a dosi basse. Per questo è cruciale che la terapia sia personalizzata da uno specialista, in modo da individuare la dose minima efficace per la singola persona».
Una cura a vita?
Il terzo aspetto da considerare è che la terapia non può essere interrotta, perché l’obesità è una patologia cronica (al pari di diabete o ipertensione) e se si sospende il trattamento si torna indietro. «Purtroppo molti credono di poter abbandonare la terapia non appena vedono i primi risultati sulla bilancia, ma questo è doppiamente controproducente: si rischia un effetto yo-yo che fa perdere massa muscolare e riprendere grasso», nota Rovere Querini.
I farmaci anti-obesità sono un’innovazione recente e non abbiamo ancora abbastanza esperienza per dire con certezza quanto dovrebbe durare la terapia, ma è molto probabile che vadano assunti a vita. Qualche barlume di speranza arriva comunque dallo studio Select, condotto su 17mila pazienti di 41 Paesi per valutare la protezione cardiovascolare della semaglutide. «Lo studio ha evidenziato che nei pazienti in trattamento, dopo quattro anni di stabilizzazione del peso, si manifesta spontaneamente un’ulteriore calo ponderale pari a circa il 10-12% del peso perso, senza che venga aumentato il farmaco», spiega Chianelli. «Questo dato sorprendente ci fa ipotizzare che, dopo anni di terapia, possa cambiare qualcosa nella regolazione dei geni dell’obesità e quindi che la malattia possa essere in un certo senso curata. Per ora si tratta solo di un’ipotesi, ma andrà valutata con attenzione».
In effetti sarebbe una bella notizia per le tasche dei pazienti, che al momento devono accollarsi l’intero costo della terapia: questa è la quarta criticità da tenere presente.
La semaglutide comporta una spesa mensile che varia da 220 a 380 euro in base al dosaggio, mentre la tirzepatide oscilla tra 346 e 623 euro al mese.
«La Società italiana obesità è riuscita a far inserire fino a mille euro di rimborso all’anno nelle convenzioni di alcuni fondi sanitari integrativi, ma siamo ancora lontani dal rimborso del Servizio sanitario nazionale che molti auspicano», puntualizza Chianelli. «Qualcosa però si sta muovendo: l’obesità è stata riconosciuta come malattia cronica e inserita nel Piano nazionale della cronicità e per contrastarla sono stati stanziati 5 milioni di euro in cinque anni. Nei prossimi mesi il Parlamento delibererà sull’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e allora vedremo cosa verrà previsto nei piani diagnostico-terapeutici dedicati».
Meno chirurgia bariatrica
Nel prossimo futuro è previsto l’arrivo sul mercato di altri farmaci anti-obesità, come i tripli agonisti che imitano l’azione di tre ormoni (GLP-1, GIP e glucagone) e le prime formulazioni a somministrazione orale.
Nel bilancio costi-benefici, va tenuto conto che i farmaci anti-obesità stanno riducendo il ricorso alla chirurgia bariatrica (i pazienti che riescono a perdere più del 15% del proprio peso abbandonano l’idea dell’intervento nel 68% dei casi) e migliorano le condizioni di salute generale permettendo di acquistare anni di vita sana. «Questi farmaci non sono la panacea di tutti i mali, ma vanno ad agire sui meccanismi alla base delle malattie dell’invecchiamento, determinando le condizioni per un maggiore benessere cellulare e una maggiore resilienza dell’organismo», conclude Rovere Querini.
E chi vuole tornare in forma?
Tutti si chiedono se i nuovi farmaci potranno essere usati un domani anche da tutti coloro che sono in sovrappeso. «Al momento non si conoscono gli effetti del loro impiego sulle persone sane, che magari vogliono soltanto tornare in forma», spiega Pontecorvi. Ma non è difficile immaginare che le ricerche saranno ben sovvenzionate e che i risultati si conosceranno in tempi abbastanza brevi.
Resta chiaro che i benefici di un’alimentazione sana e del movimento surclassano ogni tipo di molecola e che vanno sfruttati da tutte le persone, in forma, in sovrappeso o con obesità. E resta il fatto che, nel momento in cui si sospende il farmaco, c’è la possibilità che si torni ad aumentare di peso. Difatti, per i pazienti con obesità l’uso è previsto a lunghissimo termine.
Quali farmaci si trovano in Italia
• Wegovy è per ora l’unico farmaco a base di semaglutide prescrivibile con l’indicazione per l’obesità e per il sovrappeso (con indice di massa corporea tra 27 e 30 e almeno una malattia associata). È arrivato sul mercato italiano nell’estate del 2024. Può essere acquistato con prescrizione del medico di famiglia o di uno specialista come l’endocrinologo su ricetta ripetibile. Si somministra settimanalmente con un’iniezione sottocutanea. Il costo della terapia varia dai 220 ai 388 euro mensili in base al dosaggio.
• Mounjaro contiene il principio attivo tirzepatide, prescrivibile con l’indicazione per l’obesità e per il sovrappeso (con indice di massa corporea tra 27 e 30 e almeno una malattia associata). Arrivato in Italia nell’autunno del 2024, può essere acquistato con prescrizione del medico di famiglia o di uno specialista su ricetta ripetibile. Si somministra settimanalmente con un’iniezione sottocutanea. Il costo si aggira tra i 346 e i 623 euro al mese in base al dosaggio.
• Saxenda (a base di liraglutide) è disponibile in Italia da quasi dieci anni per la gestione cronica del peso. Può essere acquistato con prescrizione medica su ricetta ripetibile e si somministra con un’iniezione sottocutanea quotidiana.
• Ozempic e Rybelsus (semaglutide) e Victoza (liraglutide) possono essere prescritti solo ai pazienti con diabete di tipo 2 tramite ricetta del Servizio sanitario nazionale. Non sono indicati per la gestione del peso.
• Zepbound (tirzepatide), formulato per l’obesità, non ha ancora ricevuto l’autorizzazione dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema).
L’Aifa ha lanciato l’allarme sui farmaci per il diabete comprati online, in quanto prodotti pericolosi acquistati da canali non autorizzati.
I benefici extra dei medicinali
Semaglutide e tirzepatide, le due molecole più efficaci per l’obesità e il sovrappeso disponibili in Italia, sono risultate utili per ridurre i rischi cardiovascolari ma anche in altre condizioni, come testimoniano vari studi scientifici.
• Alcolismo. La semaglutide assunta una volta a settimana riduce la sensazione di astinenza e il consumo di alcol. Lo dimostra uno studio su 48 persone con problemi di dipendenza, condotto dall’Università della California del Sud e pubblicato su Jama Psychiatry.
• Tabagismo. Dalle cartelle cliniche di oltre 220mila pazienti diabetici è emerso che chi assume semaglutide ricorre meno a consulenze mediche contro il vizio del fumo rispetto a chi usa altri sette farmaci antidiabetici. Lo studio è pubblicato su Annals of Internal Medicine.
• Alzheimer. I pazienti trattati con farmaci agonisti del GLP-1 come la semaglutide hanno un rischio più basso del 12% di sviluppare l’Alzheimer. Lo suggerisce un ampio studio sui veterani dell’esercito statunitense, pubblicato su Nature Medicine.
• Apnee notturne. La terapia con tirzepatide, valutata nell’arco di un anno, ha determinato una significativa diminuzione del numero di interruzioni respiratorie durante il sonno in pazienti obesi che soffrono di apnee notturne: secondo lo studio dell’Università della California pubblicato sul New England Journal of Medicine, alcuni sono migliorati a tal punto da non aver bisogno di intraprendere la terapia ventilatoria Cpap.