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Arsela Prelaj è oncologa toracica e ricercatrice presso l'Istituto nazionale dei tumori di Milano, dove coordina l'Ai for Oncology Lab (foto di Costanza Longhini)
Non ha mani per visitare né occhi per guardare, ma è in grado di vedere ciò che può sfuggire anche ai migliori specialisti. L’intelligenza artificiale, o Artificial intelligence in inglese (Ai), sta rivoluzionando la vita negli ospedali. Nella lotta contro il cancro, dove ogni minuto fa la differenza, potremmo essere all’alba di una nuova era, quella dove il tumore incontra un interlocutore che lo diagnostica prima che sia troppo tardi.
Per andare incontro a questo cambiamento è nata la prima società scientifica europea dedicata interamente all’uso dell’intelligenza artificiale nella ricerca sul cancro: Esac (European Interdisciplinary Society for Ai in Cancer Research). A presiederla è Arsela Prelaj, oncologa toracica e ricercatrice presso l’Istituto nazionale dei tumori di Milano, dove coordina l’Ai for Oncology Lab. È convinta che «l’intelligenza artificiale cambierà profondamente il settore, rendendolo sempre più capace di trovare cure specifiche per il singolo paziente».
Dottoressa Prelaj, come spiegherebbe in parole semplici che cosa è l’intelligenza artificiale?
«Si tratta di una tecnologia che permette ai computer di “pensare”, un po’ come gli esseri umani. Attraverso algoritmi e modelli matematici, le macchine vengono addestrate a capire e analizzare vaste quantità di informazioni, usandole per prendere decisioni, proprio come farebbe una persona esperta, ma con una velocità incredibile e una precisione sempre maggiore. Se un medico studia migliaia di casi in tutta la carriera, l’Ai può analizzarne milioni in pochi secondi. Questo ovviamente non può sostituire i dottori, ma li aiuta, rendendo più veloce e accurata la diagnosi».
Qual è l’obiettivo dell’associazione che presiede, Esac?
«Quello di riunire per la prima volta alcuni dei massimi esperti internazionali di ricerca sul cancro, provenienti da discipline diverse (oncologia medica, radiologia, patologia, ricerca preclinica, bioinformatica, ingegneria), ma con un intento comune: trasformare la lotta contro i tumori grazie all’uso intelligente dei dati. Lo scopo di Esac è quello di creare una comunità dedita allo scambio di conoscenze e buone pratiche, supportando l’implementazione robusta, precisa, sicura e il più possibile trasparente dell’intelligenza artificiale per migliorare la prognosi e la qualità di vita dei pazienti».
Ci fa un esempio in cui l’intelligenza artificiale potrebbe fare la differenza per un paziente?
«L’intelligenza artificiale può essere utile in tutte le fasi del percorso clinico, dalla diagnosi alla scelta del trattamento. Ma l’aspetto forse più rivoluzionario è la possibilità di scoprire nuove terapie. Un esempio concreto è rappresentato dai lavori premiati con il Nobel 2024 per la Chimica, per l’uso nella progettazione di farmaci. Grazie a modelli di apprendimento avanzati, oggi è possibile simulare e prevedere in tempi rapidissimi come una molecola potrebbe interagire con un certo bersaglio biologico, riducendo drasticamente i tempi e i costi della ricerca, oltre che il peso per il paziente che si vedrebbe prescrivere solo esami strettamente necessari per la diagnosi. Questo significa che, in futuro, persone con malattie rare o tumori molto aggressivi potrebbero avere accesso a cure più mirate e sviluppate in modo più rapido rispetto al passato».
Come si addestrano i modelli di intelligenza artificiale in medicina?
«Si parte dalla raccolta di grandi quantità di dati clinici, come immagini radiologiche, referti, cartelle cliniche elettroniche, risultati di laboratorio e dati genetici. Una volta resi anonimi per una questione di privacy, i dati vengono verificati, standardizzati e poi analizzati da medici esperti che li etichettano indicando, ad esempio, la presenza o meno di un tumore. Le informazioni ottenute servono a “insegnare” all’algoritmo come riconoscere determinati pattern, cioè caratteristiche specifiche, come la forma di una lesione o la disposizione delle cellule. Durante l’addestramento, l’intelligenza artificiale impara man mano, confrontando le sue previsioni con le risposte giuste e correggendosi a ogni errore. Come noi umani, del resto. Una volta addestrato, il modello viene poi testato su nuovi dati per verificare che funzioni davvero prima di essere implementato nella pratica clinica».


Prelaj, considerata una delle principali esperte a livello europeo sull'applicazione dell'Ai nella medicina oncologica, ha ideato e presiede Esac, la prima società scientifica europea dedicata al settore (foto di Costanza Longhini)
Quali tipi di tumore si prestano meglio a questo approccio?
«Potenzialmente tutti, a patto che ci siano abbastanza dati disponibili per addestrare i modelli. Basandosi sull’analisi di grandi quantità di informazioni, è chiaro che i tumori rari rappresentano una sfida maggiore perché mancano di casistiche ampie. Al contrario, i tumori più diffusi – come quelli al seno, al polmone, alla prostata o al colon-retto – sono quelli in cui l’Ai ha già dimostrato di poter offrire un supporto concreto, sia nella diagnosi precoce sia nella personalizzazione delle terapie».
Quindi, l’Ai può interpretare anche le immagini radiologiche e le biopsie?
«Certo. L’intelligenza artificiale è in grado di analizzare immagini complesse, come Tac, risonanze magnetiche e mammografie, identificando anomalie che per la loro taglia o per il loro aspetto potrebbero sfuggire all’occhio umano oppure supportando il medico nella valutazione della gravità e dell’estensione della malattia. Allo stesso modo, può esaminare le immagini ottenute al microscopio da tessuti prelevati durante un esame, riconoscendo i segni caratteristici di alcuni tumori e aiutando a fare una diagnosi più veloce e precisa».
Questo cosa potrebbe comportare nella pratica clinica?
«In campo oncologico, è prassi comune che due radiologi leggano separatamente le immagini per ridurre il rischio di falsi negativi o falsi positivi. L’intelligenza artificiale potrebbe affiancare o addirittura sostituire uno dei due lettori, fungendo da secondo parere automatico. Questo non solo ridurrebbe i tempi e i costi del processo diagnostico, ma permetterebbe anche di ottimizzare le risorse umane, liberando i radiologi da compiti ripetitivi e consentendo loro di concentrarsi su casi più complessi o urgenti».
Quanto viene già utilizzata l’intelligenza artificiale?
«Alcuni centri americani la utilizzano regolarmente, soprattutto nel campo dell’anatomia patologica, dove l’intelligenza artificiale supporta l’analisi delle biopsie. In Italia l’impiego è al momento più limitato, ma in crescita, e si concentra principalmente sia nella diagnosi che ad esempio nella pianificazione del trattamento radioterapico, dove l’Ai aiuta sia a calcolare in modo ottimale le dosi da somministrare sia a definire con precisione le aree da irradiare, riducendo i margini di errore».
Sostituirà i medici?
«Potrebbe arrivare a sostituirli in alcuni dei loro compiti, quelli più semplici, come distinguere un carcinoma squamoso da un adenocarcinoma, perché il modello può essere addestrato a riconoscere elementi specifici nelle immagini. Detto ciò, l’intelligenza artificiale non rimpiazzerà mai completamente i medici, perché molti compiti clinici richiedono giudizio umano, interpretazione, empatia e una comprensione complessa delle variabili biologiche e psicologiche del paziente, che viene dall’esperienza».
Non c’è il rischio che la medicina diventi troppo dipendente dalla tecnologia?
«Non credo, anzi. Il tempo risparmiato automatizzando alcuni processi potrà essere reinvestito in attività a maggiore valore umano, come la comunicazione tra medico e paziente. Liberandosi dalle incombenze più tecniche, i professionisti sanitari avranno l’opportunità di tornare a fare ciò che conta di più, ovvero ascoltare, osservare e prendersi veramente cura dei loro pazienti. La vera rivoluzione dell’intelligenza artificiale in medicina potrebbe essere proprio questa: restituire tempo e umanità alla cura».