Era il 1969 quando Umberto Veronesi presentò, a un congresso a Ginevra, la possibilità di asportare il tumore mammario con un intervento che conservasse il seno. In pratica, la quadrantectomia al posto della mastectomia. Non stupisce, quindi, che sua figlia Giulia, docente universitaria e direttrice del Programma strategico di chirurgia robotica toracica dell’ospedale San Raffaele di Milano (intervistata per BenEssere da Paola Arosio), l’interesse per la chirurgia mininvasiva ce l’abbia nel sangue. L’obiettivo è sempre quello di ridurre al minimo il trauma dell’intervento per il paziente, spesso già fiaccato dalla malattia.

Professoressa, lei è una grande esperta di chirurgia robotica. In che cosa consiste?
«La chirurgia robotica, di cui mi occupo dal 2006, prevede l’uso di strumenti chirurgici miniaturizzati. Ciò consente di eseguire incisioni di pochi millimetri, evitando il taglio tipico della chirurgia tradizionale. Si tratta di un avanzamento della chirurgia toracoscopica, introdotta alla fine degli anni Novanta, che prevede piccole incisioni, ma utilizza strumenti manuali piuttosto rudimentali e perciò non è molto sicura soprattutto per gli interventi più complessi».

Quali sono i vantaggi di questo tipo di chirurgia?
«La visione tridimensionale, anziché bidimensionale, del campo operatorio; una maggiore precisione dei movimenti, dato che l’eventuale tremore viene eliminato e l’impiego di mano destra o sinistra risulta equivalente; l’uso più semplice degli strumenti, correlato alla possibilità di angolarli in molteplici modi».

Tutto ciò che benefici comporta, in concreto, per il paziente?
«Rispetto alla chirurgia tradizionale, una degenza più breve, una ripresa funzionale più rapida con veloce ritorno alle attività quotidiane, meno dolore, minori complicanze».

Lei quale robot utilizza?
«Nel 2000 è stato introdotto il robot Da Vinci, prodotto dall’azienda statunitense Intuitive Surgical, che ha depositato un brevetto di durata ventennale. Negli anni si sono susseguite varie versioni, perfezionate e aggiornate, della tecnologia di base, fino ad arrivare all’ultimo modello, chiamato Xi, che è quello che anch’io utilizzo. Dal 2020 sono stati introdotti sul mercato altri robot, che si stanno gradualmente diffondendo».

Quali tipi di intervento possono essere eseguiti con il robot?
«Nell’ambito della chirurgia toracica, utilizziamo il robot per l’80% circa delle procedure. Tra queste, anzitutto l’asportazione di tumori polmonari, dallo stadio iniziale a quello localmente avanzato, fatta eccezione per le neoplasie molto voluminose e localizzate al centro del torace, che richiedono l’approccio “a cielo aperto”. Poi l’asportazione dei tumori, sia maligni sia benigni, del mediastino, lo spazio al centro della cavità toracica, compreso tra i due polmoni. Tra questi, l’asportazione del timo, necessaria per il trattamento della miastenia gravis, una malattia autoimmune che colpisce le giunzioni neuromuscolari. Infine, la rimozione di metastasi polmonari (metastasectomia), oltre ad altri interventi meno frequenti, come la plicatura diaframmatica in presenza di ernia diaframmatica e le resezioni della parete toracica».

In media quanto dura un intervento con il robot?
«Due ore, ma ci sono operazioni che durano 50 minuti e altre quattro-cinque ore».

Qual è il percorso formativo per la chirurgia robotica?
«In realtà è indispensabile che i giovani chirurghi e gli specializzandi imparino anzitutto le tecniche di chirurgia tradizionale. Fatto ciò, la formazione in chirurgia robotica toracica prevede training sia su appositi simulatori virtuali, sia dal vivo su prototipi fittizi di una cassa toracica con sistema cardiopolmonare espiantato da cadaveri animali o umani. L’obiettivo è garantire uno strumento formativo evitando la sperimentazione sugli animali».

Che impatto potrebbe avere l’intelligenza artificiale in ambito chirurgico?
«Credo che possa essere di grande aiuto proprio nella fase di training, consentendo simulazioni sempre più verosimili. Si stanno, invece, avviando adesso progetti mirati a supportare il chirurgo in sala operatoria. Si tratta, in pratica, di allenare specifici computer a riconoscere automaticamente le strutture anatomiche, in modo da aiutare il professionista a identificarle correttamente, suggerendogli anche gli step chirurgici successivi, al fine di ridurre eventuali errori».

Vittorio Feltri è stato operato da lei. Che ricordo ha?
«Per fortuna l’intervento è andato molto bene e il giornalista ha avuto un decorso post operatorio perfetto. È stato un paziente simpatico, ironico e soprattutto collaborativo, a parte il fatto che era un po’ indisciplinato con il fumo: si è fatto beccare in camera con la sigaretta accesa. Lo abbiamo ripreso, ma inutilmente...».

Il giornalista Vittorio Feltri, firma de Il giornale, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera di essere stato curato al San Raffaele: «L’anno scorso ho avuto un versamento polmonare. Nella zona del polmone sinistro mi è rimasto un nodulo che mi procurava qualche problema. Mi sono affidato ancora una volta alle cure di Giulia Veronesi. Mi ha operato con un robot».
Il giornalista Vittorio Feltri, firma de Il giornale, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera di essere stato curato al San Raffaele: «L’anno scorso ho avuto un versamento polmonare. Nella zona del polmone sinistro mi è rimasto un nodulo che mi procurava qualche problema. Mi sono affidato ancora una volta alle cure di Giulia Veronesi. Mi ha operato con un robot».

Il giornalista Vittorio Feltri, firma de Il giornale, ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera di essere stato curato al San Raffaele: «L’anno scorso ho avuto un versamento polmonare. Nella zona del polmone sinistro mi è rimasto un nodulo che mi procurava qualche problema. Mi sono affidato ancora una volta alle cure di Giulia Veronesi. Mi ha operato con un robot».

Quella contro il fumo è una delle sue grandi battaglie…
«Sì, perché il fumo, che provoca sette milioni di morti all’anno, andrebbe considerato una pandemia. Basti pensare che l’85% dei pazienti operati di tumore al polmone è fumatore».

E il fumo nuoce all’ambiente…
«È stato dimostrato che il fumo di tre sigarette in una stanza produce concentrazioni di polveri sottili dieci volte superiori a quelle di un motore diesel lasciato acceso per mezz’ora in un ambiente chiuso. Ma l’impatto ambientale è correlato anche alla deforestazione e all’emissione di anidride carbonica».

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