Potremmo chiamare Alexander Fleming il padre degli antibiotici, perché è passato alla storia per aver scoperto la penicillina, il primo di quei medicinali antibatterici che hanno salvato centinaia di milioni di vite. Il mondo lo ricorda a 70 anni dalla morte, avvenuta l’11 marzo 1955 a Londra, in un’epoca in cui di antibiotici si parla molto per l’abuso che ne abbiamo fatto e che continuiamo a farne.

La prima intuizione
Fleming nasce nella zona rurale scozzese di Darvel nel 1881. Dopo gli studi tecnici, riesce a iscriversi a Londra alla facoltà di Medicina con l’idea di diventare chirurgo, ma l’incontro con il famoso batteriologo Almroth Wright gli fa cambiare direzione. Nel 1906 entra nel dipartimento di Inoculazione, creato per studiare i vaccini e sviluppare nuovi farmaci contro le infezioni.
Dopo la Prima guerra mondiale, Fleming, che si era arruolato come tenente, riprende le sue ricerche e nel 1922, in modo del tutto casuale, fa la sua prima scoperta: il lisozima.
Visto che è raffreddato, deposita una certa quantità del proprio muco nasale su una piastra di laboratorio. Dopo qualche settimana nota che le colture di microbi si sono sviluppate tutte attorno ma non sopra la secrezione. Dopo aver proseguito i test con altri liquidi corporei, come le lacrime, giunge alla conclusione che questi fluidi contengono una sostanza antibatterica grazie a un enzima specifico: da qui il nome lisozima (dal greco lysis, dissoluzione). L’intuizione di Alexander però non ha la fortuna sperata, perché mancano chimici in grado di aiutarlo a isolare l’enzima puro dai tessuti e inoltre il lisozima è potente sui batteri innocui ma perde efficacia su quelli patogeni.

Quella muffa in coltura
Il caso viene in aiuto di Fleming nel 1928, quando viene nominato professore di Biologia all’Università di Londra. La notizia lo raggiunge mentre si trova in vacanza con la moglie e il figlio Robert, e lo scienziato decide di tornare nella capitale per incontrare i colleghi che vogliono congratularsi con lui. La storia narra che prima di riprendere la villeggiatura passi dal laboratorio a controllare le piastre di coltura. Tra queste, una rimasta aperta per sbaglio attira la sua attenzione: si è formata una muffa di colore blu-verdastro circondata da un alone in cui le colonie di Staphylococcus aureus sono assenti.

Salute e medicina

Giulia Marchetti: «Antibiotico-resistenza, il decalogo per combattere i super batteri»

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Dichiarerà alcuni anni dopo: «Quando mi sono svegliato subito dopo l’alba, quel 28 settembre 1928, non avevo certo intenzione di rivoluzionare tutta la medicina scoprendo il primo antibiotico al mondo, o killer di batteri. Ma suppongo che sia esattamente quello che ho fatto».
La muffa, del genere Penicillium, aveva generato una sostanza antibatterica che per questo sarà chiamata penicillina.
Pur pubblicando i risultati dei suoi esperimenti sul British Journal of Experimental Pathology, Fleming dovrà aspettare parecchi anni prima di ricevere il giusto riconoscimento. La penicillina infatti è difficile da isolare e purificare e la sua instabilità chimica complica le cose.
Nel 1939 alcuni scienziati dell’Università di Oxford, consapevoli della portata della scoperta, collaborano con Fleming credendo nella sua missione. Il cosiddetto gruppo di Oxford si adopera quindi per isolare e purificare la penicillina, riuscendo a estrarre il principio attivo e a sperimentarlo non solo in vitro ma anche in vivo.

Il successo planetario
La Seconda guerra mondiale rende necessaria la produzione del farmaco su larga scala: polmoniti, gastroenteriti, cancrene, infezioni da ferite colpiscono in modo dilagante soldati e civili, tanto che il Regno Unito si rivolge agli Stati Uniti, dando il via a una cooperazione che coinvolgerà le più grandi case farmaceutiche per rendere accessibile a tutti la penicillina. Ma a scuotere la coscienza della comunità scientifica mondiale sarà soprattutto la guarigione di un amico di Fleming, nel 1942, che lo scienziato aveva curato dalla meningite proprio con l’antibiotico.
Nel 1945 arriva il riconoscimento più grande, il premio Nobel per la medicina, che Fleming riceve insieme a Ernst Chain e Howard Florey, i suoi compagni di studi di una vita.
Fleming, diventato direttore del dipartimento di Inoculazione, dopo la morte della moglie viaggia per simposi internazionali e in uno di questi incontra Amalia Voureka, microbiologa greca 30 anni più giovane di lui, che sposerà nel 1953. Due anni dopo morirà d’infarto a Londra, a 74 anni.

L’antibiotico-resistenza
Molti altri antibiotici, quali la streptomicina, tetracicline o le cefalosporine, sono stati identificati e ha avuto inizio la loro produzione industriale. Oggi però l’abuso che ne è stato fatto ha portato al fenomeno dell’antibiotico-­resistenza, con cui si intende la resistenza agli antibiotici di quei batteri che sviluppano capacità di fronteggiare i farmaci prodotti per annientarli. Un fenomeno definito la più grande minaccia globale del secolo per la salute umana, una pandemia silenziosa.
«Ora sui tavoli di noi medici e dei politici c’è un rapporto dell’ONU che non potrebbe essere più chiaro», scrive Giulia Marchetti, docente ordinaria di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano e direttrice della clinica di Malattie infettive e tropicali all’ospedale San Paolo, nel libro Gli antibiotici e la più grande minaccia del secolo. «L’uso eccessivo di antibiotici che abbiamo fatto nelle case, negli ospedali, negli allevamenti e in agricoltura sta alimentando batteri che non vengono più debellati dai vecchi farmaci e che potrebbero uccidere dieci milioni di persone ogni anno entro il 2050. Più del Covid, tanto quanto i decessi causati dal cancro».
Questi farmaci vanno assunti sempre secondo dosi e tempi indicati dal medico, per curare solo quando necessario infezioni batteriche e non virali. L’avvertimento era già insito nelle parole dello stesso Fleming, pronunciate durante il suo discorso di accettazione del premio Nobel: «Potrebbe arrivare il momento in cui la penicillina potrà essere acquistata da chiunque nei negozi. Poi c’è il pericolo che l’uomo ignorante possa facilmente assumerne una quantità più bassa e, esponendo i microbi a quantità non letali del farmaco, renderli resistenti».