Sembra una sala per videogiochi, invece è una stanza d’ospedale in cui si curano ansia, fobie e stress. È il Cave dell’Istituto Auxologico di Milano, dove la realtà virtuale è uno strumento medico. I pazienti indossano un casco, uno speciale visore 3D, dei sensori applicati sul corpo, guanti e scarpe speciali per interagire con oggetti e ambienti tridimensionali. Si aggirano tra pareti e pavimento che sono schermi ad alta definizione, su cui vengono simulate situazioni di vita quotidiana per vedere in faccia la propria paura e cercare di risolverla. Chi ha la fobia dei cani si abitua alla loro presenza, chi soffre di ansia può visualizzarla negli schermi come un fuoco che man mano si spegne.
A dirigere il laboratorio di Tecnologia applicata alla psicologia è Giuseppe Riva, che è anche docente di Psicologia all’Università Cattolica e che va fiero del progetto: «L’Auxologico è stato il primo ospedale in Europa ad avere al suo interno il Cave, che sfrutta la cosiddetta telepresenza immersiva virtuale». Ecco che cosa ha raccontato a BenEssere, intervistato da Silvia Finazzi.

Giuseppe Riva, direttore del laboratorio di Tecnologia applicata alla psicologia dell’Istituto Auxologico di Milano e docente di Psicologia della comunicazione e di Psicotecnologie per il benessere all’Università Cattolica del Sacro Cuore
Giuseppe Riva, direttore del laboratorio di Tecnologia applicata alla psicologia dell’Istituto Auxologico di Milano e docente di Psicologia della comunicazione e di Psicotecnologie per il benessere all’Università Cattolica del Sacro Cuore

Giuseppe Riva, direttore del laboratorio di Tecnologia applicata alla psicologia dell’Istituto Auxologico di Milano e docente di Psicologia della comunicazione e di Psicotecnologie per il benessere all’Università Cattolica del Sacro Cuore

Professor Riva, in che modo la realtà virtuale può contribuire a curare le fobie?
«La fobia è una paura irrazionale verso una situazione o un oggetto che non comportano rischi reali, ma che la persona fobica percepisce come pericolosi. Di base, dunque, c’è una percezione distorta del pericolo, che provoca reazioni fisiche e psicologiche di varia entità. La terapia standard prevede una graduale esposizione allo stimolo fobico per permettere al soggetto di imparare a gestire l’ansia e le emozioni connesse. Infatti, più si sperimenta ciò che crea paura e meno si reagisce. Con la realtà virtuale possiamo esporre i pazienti alle esperienze che li spaventano in maniera controllata».

Quali sono i vantaggi rispetto alle terapie classiche?
«Nella psicoterapia classica difficilmente si può mettere concretamente il paziente davanti all’oggetto delle sue paure, per cui si ricorre quasi sempre all’immaginazione, gli si chiede cioè di provare a immaginarsi di fronte allo stimolo fobico. Molto quindi dipende dalle capacità immaginative del singolo, anche perché spesso la sola idea di pensare all’oggetto delle proprie paure crea un blocco. La terapia virtuale, invece, offre un alto grado di realismo e di immersività. La persona ha la sensazione di trovarsi davvero in una determinata situazione, anche se in realtà è in un ambiente ospedaliero. A questo si unisce il vantaggio di poter offrire un’esperienza sicura e graduale».

Nella Cave i pazienti sono guidati da uno psicoterapeuta che monitora ogni loro reazione
Nella Cave i pazienti sono guidati da uno psicoterapeuta che monitora ogni loro reazione

Nella Cave i pazienti sono guidati da uno psicoterapeuta che monitora ogni loro reazione

In che misura è possibile modulare l’esposizione allo stimolo fobico?
«Con le tecnologie attualmente a nostra disposizione, possiamo calibrare ogni dettaglio e creare ambienti e situazioni virtuali realmente su misura, tarando l’esposizione sulla base del tipo di fobia presente e del livello di ansia sviluppato. Per esempio, se una persona ha il terrore di essere aggredita da un cane, all’inizio possiamo riprodurre un animale immobile e molto piccolo, e aumentare progressivamente capacità di movimento e dimensioni. In caso di paura di volare, invece, possiamo far procedere l’individuo pian piano, facendogli vivere tutto il classico iter di un viaggio: l’entrata in aeroporto, il check-in, i controlli di sicurezza, il passaggio dal gate, la salita sull’aereo, il rollio dei motori, il decollo e così via. In linea di massima, si comincia sempre con situazioni semplici, che diventano via via più complesse, mano a mano che le reazioni diventano meno intense».

L’esperienza può essere modificata in tempo reale?
«Lo scenario può essere modificato in qualsiasi momento. In relazione allo stato emotivo del paziente regoliamo il grado di difficoltà. Se è relativamente tranquillo possiamo rendere la situazione più articolata; al contrario, se è molto ansioso possiamo fare qualche passo indietro. Nel caso in cui si agiti molto, fino a entrare nel panico, possiamo interrompere l’esposizione, cercando di capire qual è stato l’elemento che ha innescato la reazione. La realtà virtuale consente di graduare l’esperienza in modo tale che sia sempre sostenibile per il soggetto fobico sperimentarla».

Come si capisce quando è il momento di variare il livello di complessità della situazione?
«Durante tutta la sessione è presente uno psicoterapeuta che guida il percorso e rafforza l’aiuto offerto dalla realtà virtuale. Inoltre, attraverso il biofeedback, misuriamo per tutta la durata del trattamento una serie di parametri psicofisiologici, allo scopo di verificare se il paziente è oggettivamente in grado di gestire la situazione».

Che cos’è il biofeedback?
«Si tratta di una tecnica, che si avvale dell’uso di elettrodi e trasduttori applicati sulla pelle, in grado di monitorare elementi come lo stato di contrazione muscolare, la sudorazione, la frequenza cardiaca, la temperatura, la respirazione. I segnali captati vengono restituiti alla persona in tempo reale, sotto forma di segnali acustici o visivi, in modo da farla diventare consapevole delle proprie reazioni interne e da portarla pian piano a gestirle. Il biofeedback associato alla realtà virtuale diventa uno strumento ancora più potente per conoscersi meglio e migliorare il proprio autocontrollo».

Nel caso dell’ansia, come agisce la realtà virtuale?
«L’ansia generalizzata (una condizione di ansia persistente, in cui si alternano periodi nei quali i sintomi sono più intensi ad altri in cui ci si sente meglio) ha origine da un’incapacità di cogliere le reazioni del proprio corpo nelle situazioni che si stanno sperimentando. Il soggetto ansioso non riesce a capire quando è in fase di attivazione e dunque dovrebbe adottare delle tecniche di rilassamento. Attraverso la realtà virtuale e il biofeedback cerchiamo di riconnettere i segnali del corpo all’esperienza vissuta. Per esempio, utilizziamo scenari come un fuoco che si spegne gradualmente o una cascata che si rimpicciolisce progressivamente, per insegnare alla persona a porre attenzione al modo in cui gli stati interni variano a seconda delle esperienze vissute. Al tempo stesso, il paziente può vedere in tempo reale come l’ambiente cambia in relazione a come si sente (diventa più attivante quando ci si agita)».

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E in che modo questo è utile per il rilassamento?
«La persona diventa consapevole delle reazioni del proprio corpo e di come, con le giuste strategie, è in grado di controllarle. Durante le sessioni di realtà virtuale, infatti, lo psicoterapeuta insegna alcune tecniche di rilassamento, cercando di individuare quelle più adatte alle esigenze e caratteristiche del singolo. Si va da quelle più semplici, come la respirazione controllata, a quelle più complesse come la mindfulness. In questo modo, nel momento in cui il soggetto, nella vita reale, si trova di fronte a un evento ansiogeno o stressogeno ha le risorse per fronteggiarlo».

Quante sedute sono necessarie per stare meglio?
«Il numero delle sedute è variabile e dipende dal disturbo di cui si soffre, dalla sua intensità e dalla sua durata nel tempo. Mediamente, sono indicate 20 sedute, della durata di 45-60 minuti ciascuna. L’esperienza di realtà virtuale vera e propria in genere si protrae per 20-25 minuti, ma è preceduta e seguita da un colloquio psicologico: prima per capire come sta il paziente, dopo per valutare come si sente e quanto è stata realmente sfidante la sessione, così da orientare quelle successive».

È necessario abbinare anche altre terapie?
«La realtà virtuale è un trattamento sintomatico, che va a migliorare i sintomi di fobie e ansie. Per risolvere le cause alla base, spesso di natura traumatica, è necessario lavorare anche su altre dimensioni, per questo in genere si consiglia di inserire la tecnica in un percorso più elaborato, che comprende anche la psicoterapia. In questo modo si otterranno risultati più a lungo termine».

Ci sono delle controindicazioni al trattamento?
«Il trattamento è consigliato per le persone con più di 16 anni, mentre non è particolarmente raccomandato in età infantile. Può generare giramenti di testa e nausea, per questo può essere controindicato in chi soffre di disturbi vestibolari, vertigini, mal d’auto e problemi di equilibrio».