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Struggersi per amore come Cyrano o sentirsi sagace e desiderabile come Mirandolina. A teatro si può: identificarsi in quel ruolo e crederci, entrare nella parte e viverla nella sua pienezza, nel “qui e ora”. Il teatro, del resto, «non è il paese della realtà, ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco», scriveva Victor Hugo. Ed è proprio in questa magica capacità di creare una comunione d’anime che è racchiusa la forza terapeutica del teatro: per chi vi assiste da spettatore e per chi recita. Anche solo a livello amatoriale.
La funzione curativa e pedagogica di una delle più antiche forme d’arte era già nota ad Aristotele che, nel IV secolo avanti Cristo, introdusse il concetto di catarsi. Il termine, che deriva dal greco kátharsis, significa “purificazione”, e allude al potere del teatro di riprodurre e sublimare le emozioni che, restando inespresse, potrebbero trasformarsi in malattie.
In tempi più recenti, in un rapporto del 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sottolineava che tutte le forme d’arte (incluso il teatro) giovano alla salute fisica e mentale a tutte le età, con ricadute positive nelle situazioni di disabilità, fragilità ma anche in presenza di vere e proprie patologie, che spaziano dall’Alzheimer ai disturbi cardiovascolari.
«Già il solo fatto di assistere a uno spettacolo, di qualunque genere esso sia, comico o tragico, innesca dei cambiamenti a livello psichico», conferma la psicologa Margherita Bechi, psicoterapeuta dell’unità di Riabilitazione Psichiatria generale dell’ospedale San Raffaele di Milano e docente del corso di Riabilitazione Psichiatrica all’Università Vita-Salute San Raffaele. «Quando si va a teatro si entra in contatto con uno spazio fisico diverso dalla realtà e dotato di un fascino particolare. Inoltre, si partecipa a una sorta di rituale collettivo e, seguendo ciò che accade sul palco, lo spettatore di volta in volta si identifica con personaggi differenti, assumendone il punto di vista. Attraverso l’immedesimazione nel vissuto del personaggio, nello spettatore possono emergere nuovi scenari interiori fino a sciogliere nodi emotivi irrisolti. La connessione tra attore e spettatore nasce anche grazie al meccanismo dei cosiddetti neuroni specchio: quando infatti osserviamo una persona compiere una determinata azione, nel nostro cervello si attivano aree neurali che ripetono tali azioni come se fossimo noi a compierle. Da ciò, come evidenzia il neuropsichiatra Vittorio Gallese nella sua teoria chiamata “Embodied simulation theory and intersubjectivity”, immedesimarsi in chi ci sta accanto o sul palcoscenico, condividerne la storia, le passioni, i timori e le aspettative, contribuisce a farci uscire dalla nostra dimensione quotidiana per entrare e incarnare altre prospettive, migliorando nel contempo i livelli di attenzione e la capacità di concentrazione».
Interpretare un ruolo per superare le difficoltà
La teatro terapia, che si differenzia dallo psicodramma, tecnica utilizzata per elaborare episodi traumatici o dolorosi del vissuto personale attraverso la loro “messa in scena”, «si utilizza per prevenire e trattare numerose forme di disturbi mentali», precisa Bechi. «Interpretare una parte, per esempio, risulta molto utile per alleviare lo stress o nel disturbo da ansia sociale, disagio - quest’ultimo - che si manifesta con sintomi mentali come la tendenza a isolarsi, la paura di stare e parlare in pubblico, e somatici, come tachicardia e ipersudorazione. Sul palco si vivono situazioni individuali e di gruppo diverse dal solito, dove il soggetto riesce ad affrontare difficoltà che nel contesto reale sembrano insuperabili. Altri benefici si ottengono se il problema è la timidezza, che si affronta più facilmente muovendosi dentro un ruolo inedito, magari con abiti diversi dal solito e con gesti più liberi».
Salire sul palco facilita le relazioni e l’autostima
Una ricerca realizzata dall’Università di Cambridge, dalla Stanford University e dall’University of Southern California, pubblicata sul Journal of Experimental Social Psychology nel 2021, evidenzia che andare a teatro o recitare facilita le relazioni interpersonali e aiuta a stemperare diffidenza e senso di inadeguatezza. In effetti, «fare teatro insegna il rispetto per gli altri e riabitua a osservare, ad ascoltare e ad attendere prima di agire, ma anche a percepire e usare il corpo come forma espressiva alternativa alla modalità verbale», sottolinea la psicologa. «Gli attori amatoriali spesso scoprono abilità e talenti sconosciuti di cui potranno fare tesoro anche nella vita quotidiana, migliorando di riflesso l’autostima. Questo accade perché - recitando - si entra in un processo reale, concreto: bisogna essere concentrati, imparare le parti e conoscere anche quelle degli altri, talvolta occorre modificare voce e movenze, agire e interagire sulla scena. Così facendo, si possono aumentare le capacità empatiche ed essere più disponibili anche a comprendere cosa passa nella testa di chi ci circonda».
Gli studi: un freno alla depressione
Andare a teatro è anche uno dei segreti della longevità. Un’indagine condotta nel 2019 all’University College London su un campione di 6.700 adulti, e riportata sul British Medical Journal, ha evidenziato che le persone che assistono regolarmente ad attività artistiche - compresi gli spettacoli teatrali - avevano un rischio di morte del 31% più basso, mentre secondo un altro studio inglese pubblicato nel 2019 sul British Journal of Psychiatry, e realizzato sulla scorta dei dati raccolti su oltre duemila adulti over 50 nell’ambito dell’English Longitudinal Study of Ageing, coloro che avevano partecipato a mostre e visto film o spettacoli teatrali almeno una volta al mese avevano il 48% di possibilità in meno di soffrire di depressione. I vantaggi erano ancora maggiori per chi seguiva attivamente dei corsi di recitazione, e - sottoposto ai test - rivelava una memoria più brillante e, nel complesso, una maggiore agilità mentale.









