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Che fare per il nostro Servizio sanitario nazionale? Come recuperare un modello di cura che era un’eccellenza per il mondo intero e che ora dà segni di cedimento? Ho in mente queste domande mentre incontro Cristina Messa nello spazio verde fuori dai suoi uffici della Fondazione Don Gnocchi, nel quartiere milanese di San Siro, non lontano dall’ippodromo e dallo stadio. È direttrice scientifica dal 2023 di questo ente non profit che è un punto di riferimento per la medicina riabilitativa, una riabilitazione in senso ampio, ortopedica, respiratoria, neurologica. Ci sediamo su una panchina sotto un sole tiepido, vado al dunque.
Professoressa Messa, lei è stata ministra dell’Università e della Ricerca nel Governo Draghi e rettrice dell’Università di Milano-Bicocca, dove insegna. È medico, manager e ha una visione politica. Su che cosa punterebbe per la sanità italiana?
«Sulla telemedicina sociale, almeno nel prossimo futuro».
La telemedicina permette di curarsi usando il telefonino o il computer invece di essere fisicamente davanti a un medico. Lei aggiunge l’aggettivo “sociale”: che intende di preciso?
«Penso alle persone che non hanno dimestichezza con il digitale o che non possiedono uno smartphone, come molti grandi anziani, ma anche all’importanza della presenza fisica. Sapersi rapportare in autonomia con le macchine può essere difficile e comunque non conduce direttamente alla cura. È per questo che credo in una telemedicina mista. Bisogna accostare la parte sanitaria alla parte sociale, sistemi che oggi sono uniti sulla carta ma separati nella realtà. Non ce la caveremo se non riusciremo a metterli insieme. Tecnologia e assistenza. Al Don Gnocchi ci stiamo provando, vuol dire che si può fare».


La direttrice di BenEssere Eliana Liotta, a sinistra, nei giardini intorno alla sede milanese della Fondazione Don Gnocchi, con la direttrice scientifica. Cristina Messa, nata nel 1961 a Monza, ricercatrice in Medicina nucleare, è professoressa ordinaria di Diagnostica per immagini e Radiologia all'Università di Milano-Bicocca, di cui è stata rettrice dal 2023 al 2019, prima donna a ricoprire tale incarico in un ateneo lombardo. Il 13 febbraio 2021 è stata nominata ministra dell'Università e della Ricerca nel governo guidato da Mario Draghi, incarico che ha mantenuto fino al 22 ottobre 2022. La foto è di Manuel Cicchetti.
Mi faccia un esempio di possibile telemedicina sociale.
«Le associazioni di un paesino, di volontari o di operatori sociali, che si organizzano per aiutare nei collegamenti virtuali una persona anziana nel momento in cui ha bisogno di seguire un percorso di riabilitazione fisioterapica a distanza dopo la frattura del femore o respiratoria dopo un intervento ai polmoni».
Così si alleggerirebbe il lavoro degli ospedali?
«Sarebbe una parte della soluzione, sì. Noi dobbiamo cercare di curare la gente a casa, senza mandare gli anziani o i malati cronici negli ospedali, che devono essere centri per le malattie acute come l’infarto».
I pazienti sarebbero seguiti anche dopo il ricovero…
«Esatto. Purtroppo, può accadere che i pazienti reduci da un ictus o da un intervento chirurgico vengano lasciati a sé stessi una volta fuori dal reparto. Invece è necessaria la presa in carico complessiva dei pazienti, con un percorso di riabilitazione quando possibile anche online».
Funziona la terapia virtuale?
«Sì, stiamo cercando di ampliarla in tutte le nostre sedi. Nella teleriabilitazione domiciliare il terapista c’è, in carne e ossa, ma videochiama il paziente o la paziente, visualizza i parametri vitali e svolge la sua sessione. Questo significa annullare le distanze, per cui un ottantenne può eseguire il programma riabilitativo senza muoversi dal suo paesino lontano dalla grande città. In più, vengono ottimizzate le risorse, perché si può anche avere il trattamento simultaneo di due o più pazienti».
È la sanità ad andare da chi non sta bene.
«Così dovrebbe essere. L'ospedale per patologie acute ad alta complessità dovrebbe essere la meta dei casi particolarmente difficili. Ma per le malattie croniche che richiedono presa in carico e cure continue che permettano una buona qualità di vita, il modello della vicinanza al domicilio è più adeguato e sostenibile. Nello spirito della Fondazione Don Gnocchi c’è la spinta ad arrivare anche laddove nulla arriva o poco arriva, è una delle nostre missioni. E così abbiamo sedi come Tricarico e Acerenza in Basilicata o Sant’Angelo dei Lombardi in Campania. Sembrano luoghi remoti ma sono vivaci come quelli delle grandi città».
Anche nelle piccole cliniche usate robot per la riabilitazione?
«Certo! Si sfruttano le tecnologie all’avanguardia, che potenziano gli effetti delle terapie, e i dati vengono digitalizzati. Le informazioni raccolte sono utili per il singolo o la singola paziente, perché la cura sia il più possibile personalizzata, ma anche per creare volumi di dati statisticamente significativi e utili per la popolazione generale».
La digitalizzazione è ovunque. Compriamo online cibo, prenotiamo biglietti per i treni e i teatri, guardiamo le serie tv in streaming, ma per qualche motivo siamo in ritardo sui servizi sanitari.
«Già. Alcune strutture sanitarie non hanno ancora introdotto con la cartella clinica elettronica. Ci sarebbe da fare un grosso lavoro in Italia da questo punto di vista».
Capita che un medico di famiglia compili la cartella clinica dell’assistito e poi in ospedale non riescano a leggerla perché i due software non si parlano…
«Infatti. Tra l’altro, i medici di medicina generale passano, credo, il 50% del loro tempo a compilare moduli. Siamo nell’epoca digitale: è possibile che non si realizzi un percorso serio ed efficace per automatizzare i passaggi e sveltire la burocrazia?».
Anche in questo caso sarebbe utile la telemedicina, che è tra gli obiettivi dell’Agenda 2030, il programma delle Nazioni Unite con 17 obiettivi per eliminare la povertà, ridurre le disuguaglianze, tutelare l’ambiente.
«Di telemedicina parliamo dal 2000 e il Covid ha dato una bella scossa. Anche la tecnologia ormai è a livelli incredibili. Ma dobbiamo fare di più: da una parte adeguare i sistemi e alfabetizzare la popolazione al digitale, dall’altra offrire un supporto umano. Si potrebbe fare anche la prevenzione collettiva online coinvolgendo i volontari locali».
Che cosa immagina?
«Pensi alla bocciofila che si collega in rete con un fisioterapista. I soci potrebbero eseguire gli esercizi di stretching proiettati su un grande schermo per migliorare equilibrio e mobilità. Ma potrebbero farlo i Lions, i Rotary, altre onlus...».
La teleprevenzione per la terza età, in altre parole.
«Chiamiamola così. L’attività fisica giova a tutti, come si sa. Mantiene in salute il corpo e il cervello, e pare funzionare ancora di più se si fa in compagnia. In questi mesi un gruppo di cardiologi della Don Gnocchi sta facendo uno studio comparativo in soggetti fragili, fra chi fa la fisioterapia classica e chi pratica il nordic walking. I primi dati mostrano che molto del beneficio viene dal ritrovarsi in gruppo».
Perché il nordic walking, la camminata con i bastoncini?
«Perché combina esercizio cardiovascolare con un intenso allenamento muscolare per spalle, braccia, addominali e gambe. Negli Stati Uniti sta prendendo piede soprattutto tra gli adulti. Immagini queste persone che imitano il movimento dello sci di fondo usando i bastoncini per spingersi mentre camminano lungo un sentiero o un marciapiede. Facile, utile, non costoso».
Lei cammina?
«Io sono sempre stata sportiva, però ho poco tempo, quindi cammino per Milano. Quando sono in vacanza mi piace viaggiare camminando: cambia la percezione del tempo e dello spazio. Magari proverò il nordic walking».
Chiederà consiglio agli specialisti della Don Gnocchi?
«Sì, certo. Non sanno ancora della mia passione per le camminate… Devo dire che girando per le sedi sparse in Italia imparo di tutto, ogni giorno».
Quante sedi ci sono?
«La Fondazione Don Gnocchi opera in nove regioni con 25 strutture e 27 ambulatori, offrendo prestazioni in regime di ricovero, di day-hospital, ambulatoriale e domiciliare. L’8 maggio verrà inaugurato il nuovo polo di eccellenza per la robotica riabilitativa all’interno della struttura di Salerno, nostro fiore all’occhiello».
Perché ha accettato la direzione scientifica?
«Per due motivi. Numero uno, la mia passione per la ricerca, che ho sempre fatto, in prima persona e come organizzatrice. Secondo motivo: la Fondazione Don Gnocchi è sì un ente privato ma non profit».
Voi fate ricerca soprattutto a Milano e a Firenze?
«Le due sedi sono riconosciute Irccs, cioè Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Svolgono attività di ricerca di livello elevatissimo, come testimoniato dalla produzione di articoli scientifici (circa 300 all’anno) e ad alto impatto. La cosa bella però è che in tutte le sedi della Fondazione, anche nelle più piccole, ci sono persone così entusiaste che trovano tempo per la ricerca. Come dicevo, noi facciamo riabilitazione anche con i robot e ora stiamo studiando in quali casi è più vantaggioso usarli. Recentemente, si sono aggiunte nella riabilitazione l’intelligenza artificiale e l’esperienza di terapie svolte nella realtà virtuale».
Un nuovo studio in cantiere?
«Un progetto che parte a breve: la terapia riabilitativa prima degli interventi chirurgici. I pazienti oncologici che devono fare operazioni importanti reagiscono meglio quanto più arrivano preparati, per esempio dopo avere fatto esercizi cardiotonici, legati al movimento, o legati alla funzione respiratoria».
Mi rivolgo ora all’ex ministra dell’Università. Il Governo Meloni ha appena abolito i test di Medicina. Il primo decreto attuativo, del 28 marzo, prevede un semestre filtro, in cui gli studenti dovranno ottenere 18 crediti per accedere a un esame nazionale, sul modello del test attuale ma solo con domande su alcune materie (da definire). Lei è favorevole o contraria?
«Ritengo che sia un atto demagogico, che lusinga le aspirazioni di una larga fetta di popolazione, incluse le famiglie degli aspiranti dottori. In realtà, la selezione rimane, viene solo spostata di sei mesi. Questo provvedimento, in teoria, dovrebbe permettere ai giovani aspiranti medici di mettersi in gioco, evitando il ricorso a test che ogni anno hanno comportato grandi polemiche. In pratica, ha diverse criticità: introduce comunque disparità, non più casuali ma legati a singole situazioni degli atenei dove si sostengono i primi esami; sottostima il considerevole aumento dei costi se si vuole mantenere alta la qualità della formazione (60mila potenziali matricole contro le 20mila circa di oggi); crea nei giovani illusioni e delusioni, rimandate di un semestre. Quindi no, non sono assolutamente d’accordo, e infatti quando ero al Governo i test li avevo tenuti».
La ministra Anna Maria Bernini ha detto che «questa riforma è una rivoluzione che risponde alla carenza di camici bianchi».
«La carenza di medici riguarda l’oggi e probabilmente non riguarda la realtà fra dieci anni, cioè il tempo necessario per formare un medico specialista. Basterebbe, come già fatto, aumentare il numero massimo delle matricole in medicina, selezionate attraverso i test. In ogni caso, quando mi dicono che mancano i medici, io rispondo sempre: “No, mancano gli infermieri, mancano i tecnici”. Perché se i dottori potessero occuparsi soltanto dell’atto medico, ne avremmo in giusta misura. Quando si vedono i rapporti tra il numero dei medici e il numero dei cittadini, noi siamo assolutamente nella media europea. Il problema è che gli specialisti devono svolgere mille altre funzioni. Se si va negli Stati Uniti, che non sono da imitare per tante cose, gli ospedali vengono tenuti dagli infermieri, non dai medici. Il medico svolge il compito per cui è stato preparato, ovvero la cura, ma poi l’organizzazione e la gestione quotidiana sono compito degli infermieri».
Si stima che in Italia manchino circa 65mila infermieri.
«Sono pagati una miseria, non hanno la possibilità di fare carriera nel nostro modello di ospedale. Dovremmo ricominciare da loro, dando la possibilità di crescita».
È vero però che c’è anche una carenza di medici in alcuni settori.
«Sì. Le specialità un po’ rischiose oggi non piacciono più, come le chirurgie, la rianimazione, il pronto soccorso… Dovremmo stimolare i ragazzi all’università a scegliere quei percorsi…».
Che cosa si augura per gli studenti?
«Che mantengano gli stessi ideali che li animano all’inizio degli anni universitari. Dobbiamo vegliare sui loro valori».