Il disturbo da uso di alcol, vale a dire «una ridotta capacità di interrompere o controllare il consumo di alcol nonostante le conseguenze negative a livello sociale, professionale o sanitario», riguarda in Italia 780mila persone. Ne soffrono in forma grave quelli che in gergo vengono chiamati “alcolisti”, ma anche chi ha forme lievi, quindi senza una dipendenza marcata, o moderate, che richiedono comunque attenzione clinica.
Secondo l’Istituto superiore di sanità, ogni anno in Italia tra i 28mila e i 30mila individui muoiono a causa dell’abuso di alcol, soprattutto per patologie cardiovascolari, epatiche e diversi tipi di cancro; poi ci sono i danni indiretti, come quelli conseguenti a incidenti o comportamenti violenti.
La buona notizia è che la ricerca ha fatto grandi passi avanti nella cura per chi è finito nel circolo della dipendenza e vuole uscirne, con nuovi farmaci che affiancano le tradizionali terapie psicologiche e magari il lavoro dei volontari nei gruppi degli Alcolisti anonimi. Uno dei massimi studiosi ed esperti clinici italiani è Giovanni Addolorato, professore ordinario di Medicina interna all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore di Medicina interna e patologie alcol correlate del Policlinico Gemelli a Roma.

Professore Addolorato, come avviene il passaggio alla dipendenza dall’alcol? Quali meccanismi fisiologici si innescano?
«L’alcol è una sostanza psicotropa. Come le droghe, agisce nel sistema nervoso centrale, in particolare nel sistema mesolimbico corticale, che fornisce i neurotrasmettitori regolatori del tono dell’umore e del piacere. Si tratta di un sistema naturale, che viene sregolato dalle sostanze psicotrope. Se abituo il sistema a produrre neurotrasmettitori come la serotonina, la dopamina e il gaba mediante quelle sostanze, il sistema non le produrrà più da solo e mi indurrà a produrle bevendo o assumendo droghe. Si instaura il meccanismo definito craving, che è un desiderio di assumere una sostanza e provoca disagio se non soddisfatto».

Il disturbo da uso di alcol è una patologia a tutti gli effetti.
«Sì. Coinvolge diversi fattori, biologici, psicologici e sociali. Di solito la prima causa è la presenza di disturbi del tono dell’umore e di tratti caratteriali che spingono a bere come un’autocura. Ma non è sempre così. Uno studio che abbiamo fatto su oltre duemila ragazzi, per esempio, ha mostrato che a rischio dipendenza era chi faceva binge drinking, l’assunzione di grandi quantità di alcol in breve tempo. In questo caso il movente psicologico non c’è, la maggior parte dei ragazzi beve per integrarsi nel gruppo. La nostra ricerca dimostra che la dipendenza può instaurarsi in tutte le persone che hanno un approccio con le bevande alcoliche errato».

Alimentazione

Il boom annunciato del vino dealcolato

Il boom annunciato del vino dealcolato
Il boom annunciato del vino dealcolato

Negli ultimi anni sono stati fatti importanti progressi farmacologici per curare le dipendenze da alcol. Quali sono le nuove terapie?
«Non esiste la pillola magica. La terapia farmacologica va vista all’interno di una terapia più articolata che prevede tre strumenti: farmaci, supporto individuale e supporto di gruppo. La terapia motivazionale secondo la letteratura scientifica è quella che funziona di più, ma la scoperta degli ultimi anni è aver capito che se si agisce a livello di neurotrasmettitori, si affronta il problema dell’astinenza e della ricaduta. Ci sono al momento quattro farmaci brevettati e approvati dall’Fda e dall’Ema (le agenzie per i farmaci statunitense ed europea, ndr)».

Quali sono questi farmaci?
«Il naltrexone, che diminuisce il piacere soggettivo legato al bere e riduce il rischio di ricaduta e il consumo complessivo; l’acamprosato, che aiuta a mantenere l’astinenza; il nalmefene, indicato “al bisogno”, non necessariamente per l’astinenza totale, ma per ridurre la quantità di alcol bevuta; e il sodio oxibato, che attenua i sintomi da astinenza e riduce il rischio di delirium tremens. In Francia c’è anche il baclofen, che paradossalmente è stato scoperto e brevettato dal mio gruppo in collaborazione con il team di Giovanni Colombo, di Cagliari, ma non è ancora approvato in Italia dall’Aifa».

Che efficacia clinica ha il baclofen?
«Attenua l’ansia e il desiderio compulsivo di bere, stabilizzando il sistema nervoso durante l’astinenza e riducendo il rischio di ricaduta. In generale, sono tutti farmaci che agiscono sui neurotrasmettitori, riducono il piacere associato all’alcol e quindi il desiderio di bere. Detto questo, la ricerca non si è fermata e allo studio ci sono molte molecole nuove interessanti».

Si parla anche dell’uso di quei farmaci discendenti dall’Ozempic, ormai molto prescritti e usati per perdere peso. È vero che come “effetto collaterale” riducono il desiderio di bere?
«Sì, è una categoria di farmaci che potrebbe dare buoni risultati. Agiscono sui recettori dell’appetito ma è dimostrato che possono ridurre le dipendenze. La semaglutide, per esempio, è una molecola che sembra in grado di ridurre il craving. Questi farmaci bloccano l’appetito agendo sul sistema mesolimbico di cui parlavamo prima. Spengono il recettore della ricerca degli stimoli piacevoli sia sotto forma di cibo, sia di altre sostanze.

In Italia com’è il trattamento delle dipendenze?
«Siamo all’avanguardia, in termini di cure ma anche di servizi come le comunità terapeutiche di accoglienza».