Ci sono legami sentimentali che non sono poi così lontani da quelli narrati fra le pagine rosa della storia e della letteratura: Cleopatra e Marco Antonio, Giulietta e Romeo, Tristano e Isotta. Perché, in fondo, nulla è cambiato dalla notte dei tempi: ci innamoriamo sempre nello stesso modo.
Se ai romantici piace parlare di destino scritto tra le stelle, la scienza ci mostra un’altra verità. All’inizio di ogni storia d’amore si attivano complessi meccanismi biologici che solo oggi stiamo iniziando a decifrare. Ma allora, come nasce l’attrazione fra due persone?

Come mai proprio tu
Tutto accade in pochi secondi. «A differenza di altre specie, gli esseri umani non cercano un partner solo per l’accoppiamento», spiega Antonio Cerasa, direttore del dipartimento di Scienze biomediche del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Roma. «Siccome l’attrazione fisica può costituire la base per una relazione duratura, siamo programmati per cogliere nell’altro degli indizi che indicano salute e benessere generale».
Quando un uomo osserva per la prima volta una donna, il suo cervello inizia inconsciamente a “scansionare” una serie di segnali fisici. Non è superficialità, ma biologia. Alcune forme del corpo, per esempio, parlano direttamente al nostro istinto più ancestrale.
Uno studio (pubblicato nel 2016 sulla rivista Evolution and Human Behavior) ha descritto una preferenza maschile verso le donne con una curvatura lombare di circa 45,5 gradi, quella che disegna la classica forma a S della schiena. Secondo i ricercatori, questa peculiarità è considerata utile per distribuire meglio il peso durante la gravidanza, indicando una maggiore possibilità di portare a termine con successo la maternità.

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L’amore a prima vista? Esiste davvero

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Un altro elemento che il cervello maschile valuta in modo inconsapevole è il rapporto tra vita e fianchi: quanto più si avvicina a 0,7 – con la vita visibilmente più stretta rispetto ai fianchi –, tanto più viene percepito come attraente. Non si tratta solo di estetica, ma di un segnale evolutivo legato alla fertilità e alla capacità riproduttiva.
E le donne? Anche il cervello femminile avrebbe le sue preferenze. Da un lato apprezza tratti fisici come le spalle larghe, simbolo di forza e protezione, dall’altro considera segnali più sottili, come il timbro della voce.

Il peso dell’olfatto
Uomini e donne considerano anche l’olfatto. «Questo è uno dei sensi più incisivi nella scelta del partner», indica Cerasa, «perché veicola informazioni fondamentali sul patrimonio genetico dell’altro».
Uno degli esperimenti più curiosi in questo campo è il famoso “studio delle magliette sudate” (pubblicato nel 1995 sulla rivista Proceedings: Biological Sciences). Il ricercatore svizzero Claus Wedekind chiese a un gruppo di uomini di indossare una maglietta di cotone per due notti consecutive, evitando l’uso di deodoranti, saponi profumati e fragranze, in modo da preservare l’odore naturale.
Le t-shirt vennero poi annusate da un campione di donne con risultati sorprendenti. Le partecipanti all’esperimento tendevano a preferire l’odore degli uomini il cui sistema immunitario – soprattutto il complesso maggiore di istocompatibilità (Mhc), un gruppo di geni chiave nella difesa da virus, batteri e altre minacce – era molto diverso dal loro. «Oggi sappiamo che maggiore è la diversità genetica tra due individui, più alta è la probabilità di concepire figli con un sistema immunitario robusto e variegato», riferisce Cerasa. «Il nostro naso sa riconoscere chi può offrire la combinazione genetica più adatta per generare una prole sana e resistente».

Chi si somiglia si piglia
Oltre a questi aspetti biologici, anche il viso gioca un ruolo importante. Di fronte a un volto nuovo, il nostro cervello preferisce i tratti familiari: chi ha un viso tondo sarà attratto da lineamenti altrettanto morbidi, chi ha un naso aquilino sarà più incline a scegliere qualcuno con un profilo simile. «Non è solo una questione estetica», precisa l’esperto del Cnr. «In modo del tutto inconscio, riconosciamo nel volto dell’altro gli elementi che rimandano alla nostra storia personale». In pratica, il viso opera come un segnale silenzioso di appartenenza: ci fa sentire a casa. Nei primi istanti dell’incontro, la somiglianza diventa un “marchio di familiarità” che rafforza la sensazione di connessione. Ecco perché a volte guardiamo qualcuno e pensiamo di conoscerlo da sempre. Forse non lo conoscevamo davvero, ma il nostro cervello – in un certo senso – sì.
Naturalmente stiamo parlando di ipotesi generalissime. Il cervello umano è molto complesso e non si può ridurre a poche predilezioni standard. La cultura, le letture, le amicizie cambiano la nostra mente e i nostri amori. D’altra parte, la storia è piena di incroci tra popoli diversi e questo è un punto di forza nella nostra evoluzione.

La tempesta ormonale
Una cosa è certa: il corpo va in subbuglio. Tra gli altri, lo ha mostrato la celebre antropologa Helen Fisher, che nel 2006 guidò uno studio pionieristico per “fotografare” cosa succede nella nostra testa quando siamo innamorati. Grazie alla risonanza magnetica funzionale, il team di Fisher osservò l’attività cerebrale di 17 giovani adulti (10 donne e 7 uomini), tutti felici e innamorati da circa sette mesi. Durante l’esperimento, ai partecipanti furono mostrate immagini del proprio partner e, per confronto, quelle di un soggetto neutro. I risultati rivelarono che guardare la persona amata attiva aree specifiche del cervello, in particolare la regione tegmentale ventrale e il nucleo caudato, entrambe associate al piacere. In poche parole, l’amore si comporta come una sorta di dipendenza positiva che ci spinge verso l’altro, generando un’attrazione intensa, quasi ossessiva.

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I sei livelli dell’eros: dall’istinto ai valori

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A confermarlo è un altro studio condotto dall’Università di Pisa (pubblicato nel 2017 sulla rivista CNS Spectrums). I ricercatori hanno scoperto che l’innamoramento altera profondamente l’equilibrio neurochimico. Da un lato aumenta la dopamina, il neurotrasmettitore del piacere e della gratificazione; dall’altro, invece, cala la serotonina, quella che normalmente aiuta a mantenerci calmi e razionali.
Il risultato sono pensieri ricorrenti, intensi, a volte persino invasivi. Non è un caso se i livelli di serotonina negli innamorati sono simili a quelli osservati in chi soffre di disturbi ossessivo-compulsivi: ecco spiegata quella sensazione di non riuscire a smettere di pensare all’altro, giorno e notte. L’intera quotidianità sembra svanire, tutto ruota intorno al bisogno di vederlo, sentirlo, stare con lui.
E non è finita. Il cervello innamorato produce anche più ossitocina, il famoso ormone che favorisce l’attaccamento emotivo, rafforza il legame e può addirittura ridurre la fame nervosa. Questo perché lo stato di benessere che ne deriva rende meno urgente cercare gratificazioni altrove, come nel cibo.

La costruzione della coppia
È importante accettare che la fase iniziale, quella dell’innamoramento travolgente, è per sua natura temporanea. La tempesta chimica che viviamo ha lo scopo di stimolare l’unione tra due individui. Ma, come ogni tempesta, anche questa si placa, mediamente nell’arco di sei o 12 mesi. È lì che inizia la parte più delicata: la costruzione dell’amore duraturo, che psicologi e neuroscienziati definiscono omeostasi psicologica. «Mentre imparano a condividere spazi, pensieri ed emozioni», dice Cerasa, «i due innamorati costruiscono una nuova identità. Non sono più due individui separati, ma iniziano a diventare qualcosa di diverso: una coppia, un’entità unica con un suo modo di stare al mondo». Per riuscirci, entrambi devono riuscire a soddisfare i bisogni primari dell’altro che, secondo la teoria dello psicologo americano Abraham Maslow, sono quattro: protezione, sesso, sonno e cibo.
«Dormire insieme, mangiare insieme, toccarsi, abbracciarsi e proteggersi a vicenda sono gesti quotidiani che diventano pilastri», descrive l’esperto. È in quel momento, quando ci sentiamo pienamente accolti, compresi e nutriti nei nostri bisogni più profondi, che pronunciamo le parole più potenti di tutte: «Ti amo».

La sfida della società
Arrivata a questo punto, la coppia si trova davanti a una grande sfida: costruire la propria identità sociale. Chi siamo noi come coppia agli occhi degli altri? Come ci posizioniamo rispetto agli amici, al lavoro, alle rispettive famiglie? Qui entrano in gioco pressioni e dinamiche spesso sottovalutate.
Per esempio, che succede se gli amici dell’uno non accettano l’altro? O se solo uno dei due trova lavoro e l’altro si sente escluso o fallito? O ancora, come si gestiscono le responsabilità familiari, come prendersi cura di genitori anziani o relazionarsi con fratelli e sorelle?

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Gelosia: la sindrome di Otello non è amore

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«In un mondo dove i legami sociali e lavorativi sono sempre più instabili, le coppie si trovano a dover rinegoziare continuamente la loro esistenza», ammette Cerasa. «Il lavoro è diventato molto più fluido e incerto. Uno dei due lavora, l’altro no. Uno deve viaggiare, l’altro vuole restare. Uno fa carriera, l’altro no. E questo ha un impatto diretto sulla relazione. Lo stesso vale per le dinamiche amicali: una volta condivise, ora frammentate. Ci si trova a doversi scegliere ogni giorno, in un contesto che cambia continuamente».
E poi ci sono le famiglie di origine: chi si occupa dei genitori anziani? Chi si sacrifica? La coppia deve incastrarsi anche in queste reti familiari complesse, in un equilibrio fragile tra affetto, dovere e identità. «Molte relazioni falliscono non per mancanza di amore, ma per l’incapacità di gestire la complessità di questa identità sociale», sottolinea l’esperto del Cnr. «Quando una coppia non riesce a trovare ambienti in cui si senta accolta, integrata e riconosciuta, inizia a crollare. E spesso il crollo parte da fuori, non da dentro».

Mantenere viva la relazione
La buona notizia è che non siamo in balia del destino. Negli anni Ottanta, lo psicologo statunitense Robert Sternberg ha individuato tre assi fondamentali su cui lavorare per mantenere viva una relazione: passione, intimità e progettualità. Non si tratta di elementi statici o fissi, ma in continua trasformazione.
«La passione non è solo attrazione fisica, ma anche condivisione di interessi e hobby», racconta Cerasa. «Questa è la dimensione in cui si riconoscono le affinità o le differenze tra i partner: magari uno ama andare in montagna, l’altro preferisce il mare; uno è appassionato di ballo, l’altro no. Non è necessario che le passioni coincidano perfettamente, ma è fondamentale che vengano riconosciute e rispettate. Ciò che conta è che la coppia impari a distinguere quali passioni sono condivise e quali invece rappresentano un bisogno individuale dell’altro».
A volte, in certi momenti della vita, una passione può assumere un valore particolare per uno dei due componenti: può diventare una risorsa per rigenerarsi, ritrovare entusiasmo o riscoprire l’altro. In questi casi, è importante che il partner sappia cogliere quel bisogno e scelga, con generosità e intelligenza affettiva, se assecondarlo, parteciparvi o semplicemente dare spazio all’altro per coltivarlo.
«Il secondo asse è quello dell’intimità, che riguarda la capacità di aprirsi, confidarsi e fidarsi», riprende l’esperto. «L’intimità è quel territorio delicato in cui ci si sente liberi di mostrarsi per come si è, con le proprie emozioni, fragilità e paure. All’inizio della relazione, questa componente tende a essere molto presente, ma con il tempo può affievolirsi. Ci si abitua all’altro, si danno per scontate certe cose oppure si sviluppano reticenze, silenzi, piccole barriere. Il punto è accorgersene. Quando uno dei due partner non si sente più libero di raccontarsi o percepisce che le sue verità più profonde non trovano spazio nella relazione, allora è segno che l’asse dell’intimità sta cedendo». Recuperarlo non è impossibile: significa tornare a parlarsi davvero, senza filtri, con il desiderio autentico di ascoltare e farsi ascoltare.
Infine, l’ultimo asse – troppo spesso trascurato – è quello della programmazione. Anche le coppie più affiatate e innamorate, se non riescono a progettare il futuro insieme, rischiano di restare intrappolate in un presente senza direzione. «La programmazione riguarda le scelte pratiche, le decisioni da prendere, il costruire insieme un’idea di futuro», conclude Cerasa.
Anche quando sembra che non ci sia più niente da programmare – magari perché si è già formato un nucleo familiare, si è raggiunta una stabilità lavorativa, si è sistemata la casa – è proprio lì che la progettualità va ripensata e rinnovata. Basta poco: un viaggio, un corso, un cambiamento nell’arredo domestico, qualsiasi cosa che possa restituire un senso condiviso del «dove stiamo andando?».
Insegnare questa teoria sin dalla giovane età significa offrire ai ragazzi una bussola affettiva, una guida interiore capace di orientare le loro scelte relazionali. Fornire una struttura di pensiero solida può aiutarli a evitare errori ricorrenti e a riconoscere dinamiche tossiche. In molte relazioni disfunzionali – anche in quelle segnate da violenza o manipolazione – il problema non risiede tanto nei sentimenti, quanto nell’incapacità di guardarsi dentro e di vedere davvero l’altro.
Perché alla fine, non c’è bisogno di castelli, draghi o principesse per scrivere una grande storia d’amore. Basta che, tra il caos del mondo, due cuori continuino a scegliersi ogni giorno. Solo così potranno vivere, sul serio, per sempre felici e contenti.