Capita spesso ai ritrovi con gli ex compagni del liceo. Dopo molti anni, alcuni si sono mantenuti attivi e in perfetta forma, come se il tempo non fosse trascorso. Altri si mostrano, invece, appesantiti e acciaccati. Eppure sono tutti coetanei, anche se a prima vista non si direbbe.

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Salire le scale allunga la vita

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Accade perché non sempre l’età anagrafica coincide con quella biologica. «La prima è calcolata in base alla data di nascita, mentre la seconda, chiamata anche età fisiologica o senescenza, dipende dalle condizioni morfologiche e funzionali di ciascun individuo, ovvero qualità dei tessuti, degli organi e degli apparati valutati rispetto a valori standard di riferimento», spiega Filippo Martinelli Boneschi, responsabile del laboratorio di Medicina di precisione delle malattie neurologiche dell’Università degli Studi di Milano e neurologo all’ospedale San Paolo della medesima città.

Professore, com’è nato il concetto di età biologica e come si è affermato?
«L’idea di età biologica comincia ad affermarsi già nel secolo scorso. E viene corroborata nei primi anni del Duemila dagli studi sulle zone blu, i cui abitanti vivono significativamente più a lungo e in buona salute rispetto a quelli di altre parti del mondo: per esempio, l’arcipelago di Okinawa in Giappone, l’isola di Ikaria in Grecia, la penisola di Nicoya in Costa Rica e anche un’area della Sardegna, tra la Barbagia e l’Ogliastra. Dalle ricerche è emerso che le popolazioni di questi luoghi condividono alcune abitudini alimentari: molta verdura, soprattutto di colore verde scuro, come spinaci, lattuga, broccoli, alghe; pesce, ricco di acidi grassi essenziali omega 3 e omega 6. Poi prediligono porzioni piccole di cibo e riescono così a mantenere con facilità il peso forma».

L’alimentazione, per quanto riguarda sia qualità sia quantità, è uno dei cardini della longevità. Quali sono gli altri segreti per vivere a lungo e in salute?
«Fondamentale è bandire il fumo e limitare al massimo gli alcolici. Così come fare movimento con regolarità: è bene puntare su attività aerobiche, come corsa, bicicletta, nuoto, camminata veloce, da praticare almeno tre volte alla settimana per 30 minuti ciascuna in caso di intensità elevata o di 50 minuti in caso di intensità moderata. Come vari studi hanno dimostrato, questo consente di prevenire le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari, ma anche di proteggere il cervello dalle patologie neurodegenerative, come Alzheimer e Parkinson».

Pure un buon sonno gioca il suo ruolo?
«Sì. Del resto, chi fa movimento di solito tende ad avere un sonno più regolare e quindi più salutare rispetto a chi è sedentario. Come è emerso dall’analisi dei centenari delle zone blu, è importante anche mantenere ritmi di vita regolari, coricandosi sempre alla stessa ora (meglio se entro le 11 di sera) e alzandosi presto al mattino».

Dormire bene

Un buon sonno mantiene la glicemia sotto controllo

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Abitudini virtuose, dunque. Ma nell’invecchiamento ha un’influenza anche la genetica. In che misura?
«È senz’altro rilevante, ma la sua influenza dipende dalle singole malattie considerate. Per esempio, nella sclerosi multipla il contributo genetico si attesta intorno al 30% e il restante 70% è attribuibile alla capacità dei vari fattori ambientali, come appunto alimentazione, peso corporeo, attività fisica, esposizione all’inquinamento, di modificare l’espressione dei geni pur senza mutare il Dna. Si tratta, in sostanza, di “spegnere” o “accendere” dei geni. È quella che noi esperti chiamiamo epigenetica. Ciò spiega perché due gemelli omozigoti, cioè con geni identici, possono sviluppare malattie diverse e avere aspettative di vita differenti».

Attualmente esistono dei test per calcolare l’età biologica. In che cosa consistono e come si svolgono?
«Sì, il costo è di circa 100-150 euro. Il test, consigliabile dopo i 50 anni, consiste nell’eseguire un prelievo di sangue, di saliva o del capello, che viene inviato in laboratorio. Qui si studiano vari set di geni, che si “accendono” o si “spengono” in relazione all’invecchiamento. In base allo stato di questi geni si stima l’età biologica dell’individuo, che viene poi confrontata con l’età anagrafica per stabilire se l’invecchiamento è accelerato o decelerato. È stato, per esempio, dimostrato che i pazienti con malattia di Parkinson o con obesità tendono ad avere un’età biologica superiore a quella anagrafica, ma è stato anche evidenziato – e questo è molto importante – che stili di vita virtuosi possono invertire la tendenza a un invecchiamento accelerato».

In tutto ciò il microbiota ha un ruolo?
«È probabile di sì, visto che il microbiota ha una forte interazione con il sistema immunitario e con il sistema nervoso centrale».

Quali sono i prossimi obiettivi della ricerca in questo ambito?
«Il traguardo è individuare dei biomarcatori di invecchiamento, ma ci vorranno ancora molti anni. Nel mio laboratorio stiamo attualmente studiando, in persone con sclerosi multipla, la relazione tra età biologica ed esposizione all’inquinamento e gli effetti di ocrelizumab, farmaco efficace nel trattamento della patologia, nell’invertire l’età biologica stessa».