La vittoria di Jannik Sinner nel luglio scorso a Wimbledon, la prima di un italiano nel torneo più prestigioso del mondo, non ha fatto che aumentare l’entusiasmo. È tennis mania: da quando l’Italia è tornata ai vertici mondiali (oltre a Sinner, basti citare Jasmine Paolini, Lorenzo Musetti, Lorenzo Sonego, Matteo Berrettini, Flavio Cobolli), i numeri di tifosi e praticanti sono esplosi. Il tennis è diventato il secondo sport più seguito dopo il calcio e i tesserati della Federazione italiana tennis e padel sono arrivati a 1,1 milioni: il 266% in più rispetto a cinque anni fa. E non si tratta solo di entusiasmi giovanili, visto che tra i circa 5 milioni di praticanti il 24% ha tra i 45 e i 55 anni, il 22% è over 55.
«Il tennis si può imparare a qualsiasi età», spiega sul suo sito la Federazione, che dal 2022 ha tolto dal regolamento il vincolo di età per l’agonismo, consentendo di tesserarsi come agonista anche a chi ha compiuto gli 80 anni. Per gli adulti principianti, la Federazione ha recentemente messo a punto una nuova metodologia di avviamento al gioco: si inizia con palle depotenziate (più grandi e più lente di quelle normali) e con scambi su una porzione ridotta del campo. Un approccio facile e poco stressante per il fisico.

Gli studi scientifici
Che questo sport possa portare vantaggi in ogni fase della vita è certificato dalla ricerca. Studi della Harvard health medical school mostrano che in campo un adulto consuma mediamente tra le 400 e le 600 calorie l’ora e che una pratica costante comporta una riduzione del rischio cardiovascolare del 47%, a prescindere dall’età d’inizio. Ai benefici fisici, in un’attività che richiede concentrazione, prontezza mentale e coordinazione, si sommano i benefici per la mente. Ricerche della Mayo clinic, uno dei più noti ospedali statunitensi, indicano che giocare a tennis può ridurre i rischi di declino cognitivo del 45%.
Se questi dati sono incoraggianti, non vanno però trascurati gli inviti alla prudenza. «Se si è in salute e preparati i benefici ci sono certamente», dice Daniela Lucini, responsabile del servizio Medicina dello sport ed esercizio fisico dell’Istituto Auxologico italiano e professore ordinario in Scienze dell’esercizio fisico e dello sport dell’Università di Milano. «Ma va considerato che stiamo parlando di uno sport asimmetrico e che sottopone sia le articolazioni, sia il sistema cardiovascolare, a un grande stress».

Lo sforzo prolungato
Prima di tutto c’è l’aspetto dell’endurance, cioè dello sforzo prolungato. «Si corre a massime velocità e quindi l’esercizio non è più completamente aerobico, e questo rappresenta un grosso stress per l’organismo», dice Lucini. È aerobico un esercizio quando l’energia è prodotta prevalentemente da una via metabolica che utilizza il glucosio già presente nelle cellule, senza l’utilizzo di ossigeno.

Poi c’è lo stress di articolazioni e muscoli: «Si tratta di uno sport che implica una postura innaturale ed enormi sollecitazioni per le ginocchia, le anche e le caviglie oltre che per il gomito. Se ho in mente di divertirmi più che di vincere le partite, o se decido di giocare una partita in doppio piuttosto che in singolare, posso anche prendere le cose più alla leggera, ma non è uno sport che si possa fare senza un po’ di preparazione. Quando vediamo i grandi campioni dobbiamo considerare che, oltre al fatto che sono giovani, gran parte della loro bravura è dovuta alla preparazione, seguita da professionisti».

I rischi da evitare
Cosa rischia chi passa direttamente dalla poltrona al campo? «Innanzitutto, se non sono allenato e magari ho una certa età, gli sforzi di intensità massimale determinano un iperattività del sistema nervoso simpatico, che può portare a problemi cardiaci», risponde il medico. «Per quanto riguarda la parte muscolo-scheletrica, si parla di lesioni ai legamenti, strappi muscolari, traumi alla colonna vertebrale».
Qual è la preparazione giusta? «Prima di tutto allenare il fiato, con attività endurance come con la corsa, il ciclismo o anche il nuoto», spiega Lucini. «Poi serve un allenamento specifico per la forza muscolare: si possono usare macchine e pesi, ma è indicata anche la ginnastica o il pilates, a seconda del tipo di forza muscolare che si vuole raggiungere, che allena anche tutta la muscolatura e in particolare la muscolatura della colonna, che va assolutamente rinforzata. E un po’ di stretching prima di iniziare a giocare per rilassare i muscoli e aumentare la flessibilità».

Il disturbo: il gomito del tennista
Viene chiamato gomito del tennista perché è un tipico disturbo che affligge chi pratica lo sport, ma si tratta di una patologia molto comune, che in Italia riguarda dall’1% al 3% della popolazione. La fascia di età più colpita è quella tra i 25 e i 60 anni. Il nome clinico è epicondilite, ed è dovuta alla degenerazione del tendine che si inserisce sull’epicondilo omerale, una piccola sporgenza ossea terminale dell’omero (l’osso che va dalla spalla al gomito), che si trova nel gomito. La causa è un sovraccarico del tendine, dovuto a una continua sollecitazione dei muscoli epicondiloidei, quelli che permettono l’estensione del polso e delle dita della mano. Può provocare un dolore intenso, tale da compromettere l’uso di gomito e polso. Si cura soprattutto col riposo dell’arto, oltre che con farmaci antinfiammatori, terapie fisiche (come laser terapie e onde d’urto) e stretching. Tra i tennisti famosi che ne sono stati afflitti: Rafael Nadal, Novak Djokovic e Andy Murray.

Quali campi scegliere
Per le articolazioni la superficie del campo fa una certa differenza. La terra battuta e l’erba (superficie però poco diffusa in Italia), sono più morbide e, grazie allo scivolamento, sono in grado di ammortizzare gli urti e di ridurre gli impatti anche sulla colonna vertebrale. I campi in cemento (di solito una base di asfalto rivestita da diversi strati di vernice acrilica) sono più duri e hanno quindi un basso livello di assorbimento degli urti. Secondo le ricerche sui tennisti professionisti condotte da Per Bastholt, da oltre 30 anni medico e preparatore nel circuito Atp (Association of tennis professionals), l’incidenza degli infortuni sui campi in cemento è decisamente superiore rispetto ai campi in terra rossa: 0,37 trattamenti medici per partita contro gli 0,20 della terra rossa.