A dieta con la pasta? Assolutamente sì. È dura a morire la convinzione che si debbano scartare rigatoni e fusilli per non ingrassare. Si è diffusa a partire dagli anni Settanta la mania nutrizionale dei regimi iperproteici, innescando quella che è stata definita una vera e propria carbofobia. Il neologismo è formato da due termini: il primo è di origine greca, fobia, e indica paure e avversioni esagerate; l’altro è inglese, carbs, e significa carboidrati.
Le linee guida per una sana alimentazione italiana specificano: «Non è vero che i carboidrati facciano ingrassare di per sé. Non bisogna eliminarli dalla dieta per dimagrire ma semplicemente ridurne il consumo se eccessivo e prediligere i carboidrati di buona qualità». Secondo la dieta mediterranea, i carboidrati dovrebbero fornire tra il 45 e il 65% dell’energia quotidiana, anche in base alle attività che si svolgono.
I ricercatori dell’Istituto neurologico mediterraneo Neuromed di Pozzilli (Isernia) hanno voluto verificare l’ipotesi che non sia per nulla colpa della pasta se il peso medio degli italiani è lievitato negli ultimi anni. In effetti, è risultato così, passando in rassegna i dati relativi alle abitudini alimentari di circa 24mila adulti. L’indagine, pubblicata sulla rivista scientifica Nutrition & Diabetes, è arrivata alla conclusione che la pasta non è correlata ad alti valori dell’indice di massa corporea né del rapporto tra vita e fianchi.

Che felicità con le pennette
Si può restare in forma mangiando spaghetti e anche dimagrire. Con grande felicità non solo del palato ma in senso biochimico. Gustare cibi soddisfacenti come un bel primo piatto porta alla produzione di serotonina, la molecola detta del buonumore.

Mangiare sano

Il cioccolato fa bene al cuore e all’umore

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Si potrebbe chiamare proprio Diet pasta il regime ipocalorico sperimentato nel 2020 all’Università di Parma (su Nutrition, Metabolism & Cardiovascular Diseases). La sintesi è che mangiare quasi tutti i giorni spaghetti, penne o fusilli, all’interno di un regime alimentare mediterraneo e ipocalorico, può far dimagrire, per giunta perdendo massa grassa.
Condotto per sei mesi su 49 individui con obesità, lo studio non solo ha smentito il luogo comune secondo cui la pasta fa ingrassare ma ha mostrato che una dieta che ne contempli un consumo quotidiano porta a una maggiore perdita di peso.
Gli esperti dell’ateneo emiliano hanno messo a dieta due gruppi di partecipanti reclutati tra i pazienti dell’ospedale di Parma. Il gruppo che nel proprio regime prevedeva il consumo di pasta meno di tre volte alla settimana ha visto ridursi il peso in media del 7%, ma il gruppo che portava in tavola il primo piatto oltre cinque volte alla settimana ha perso il 10%. Un 10% di qualità, tra l’altro, perché si trattava soprattutto di massa grassa. Le porzioni non erano risicate: in entrambi i casi, di 80 grammi.

Va giù la pancetta
Seguire la dieta mediterranea e mangiare la pasta contribuisce a tenere il peso sotto controllo e a ridurre il girovita. A queste conclusioni è giunto uno studio scientifico ampio, che ha analizzato i dati di oltre 32mila persone osservate in 12 anni (su Nutrition & Diabetes, 2018).
Claudia Agnoli e il suo team dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano hanno valutato quanto l’aderenza alla dieta mediterranea corrispondesse a un minore rischio di aumento di peso e di obesità addominale. Per farlo, hanno assegnato un punteggio che premiava il consumo con frequenza elevata dei sei alimenti tipici mediterranei, cioè pasta, verdure, frutta, legumi, olio d’oliva e pesce, e che penalizzava gli eccessi di alcol, bibite, burro, patate, carni rosse e processate.
Alla fine dell’indagine, è emerso che alti valori dell’indice mediterraneo italiano corrispondevano a un rischio minore di aumento di peso e di obesità addominale. Nei volontari che all’inizio dello studio erano normopeso, si è addirittura assistito a una riduzione della circonferenza della vita con l’aderenza al modello del Mare nostrum.

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L’indice glicemico non alto
C’è ancora qualcuno che ritiene di poter dimagrire seguendo una dieta a base di riso in bianco. In realtà, nonostante abbia un contenuto calorico simile alla pasta, il riso ha un indice glicemico più elevato, nel senso che causa un aumento molto veloce dei livelli di glucosio nel sangue.
I ricercatori si sono chiesti per anni come mai la pasta tradizionale, quella in vendita negli scaffali del super, avesse un indice glicemico inferiore a riso, pane e patate. Ogni tipo di sperimentazione dava lo stesso risultato: dopo aver mangiato un piatto di spaghetti al dente, la glicemia post prandiale (dopo il pasto) si innalzava meno rapidamente che dopo avere consumato altre fonti amidacee.

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L’attenzione si è spostata così sul processo industriale di lavorazione. È il procedimento tecnologico della pastificazione ad abbassare l’indice glicemico.
Il motivo? La particolare lavorazione imprigiona l’amido e lo rende meno disponibile: minore è la digeribilità, inferiore è la velocità con cui il glucosio viene immesso in circolo, più basso è l’indice glicemico dell’alimento.
In altre parole, la pastificazione aumenta la quota di amido lentamente digeribile (Sds) e riduce quella di amido rapidamente digeribile (Rds). Per questo il pane ha un indice glicemico superiore a quello della pasta, anche se prodotto con la stessa semola di grano duro. La conferma è venuta da uno studio recente, condotto da un team dell’Università di Parma e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, con il contributo nella ricerca della nutrizionista di Barilla Valeria Deon (Foods, aprile 2023).
L’amido lentamente digeribile rappresenta circa il 40% dei carboidrati disponibili nella pasta. C’è in teoria un beneficio per la salute. Lo ha stabilito nel 2011 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa): più lentamente si digerisce l’amido, meno si innalza velocemente il livello di glucosio nel sangue e meno insulina viene prodotta dal pancreas per modulare la glicemia.
È un bene evitare continui picchi glicemici, come succede invece quando si consumano cereali e derivati con una percentuale elevata di amido che viene digerita rapidamente, mandando in circolo quantità maggiori di glucosio: tenere sotto controllo la glicemia protegge dalle principali malattie croniche legate al modello alimentare.

Scolata al dente!
Un piatto di maccheroni scotti non è solo uno smacco alla cucina italiana ma un piccolo errore nutrizionale. È la pasta al dente ad avere un indice glicemico più basso.
Durante la cottura, l’acqua bollente idrata i granuli di amido, che nella confezione di pasta cruda sono rigidi e non digeribili. Più si lasciano fusilli e ditali sul fuoco, più l’amido assorbe liquido diventando gelatinoso e meglio assimilabile per noi durante la digestione. Dunque, la pasta scotta è estremamente digeribile, il che non è un bene: si assorbe più velocemente il glucosio, con un innalzamento rapido dei livelli di zucchero nel sangue.
Per evitare picchi glicemici, è meglio che l’apparato gastrointestinale impieghi un po’ di tempo per assimilare i carboidrati e mettere in circolazione il glucosio: scolare penne e rigatoni quando sono al dente, com’è previsto nella gastronomia italiana, è uno dei metodi più efficaci per tenere basso l’indice glicemico.

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Un’insalata di pasta ha ulteriori vantaggi. Con il raffreddamento avviene una modifica negli alimenti ricchi di amido: si crea un tipo di amido che risulta indigeribile. E questo amido, che viene definito resistente perché resiste appunto agli enzimi digestivi, rimane quasi intatto anche se poi si scalda nuovamente la pietanza. Per esempio, se facciamo una frittata con gli spaghetti preparata il giorno prima.

Integrale per il colesterolo
Come prova uno studio di nutrizionisti del Cnr di Avellino (sulla rivista Nutrition, Metabolism & Cardiovascular Diseases), una dieta che contiene pasta integrale risulta d’aiuto nella lotta all’ipercolesterolemia.
Pennette o linguine integrali contengono le due varietà di fibra, insolubile e solubile. La prima, riconoscibile dalla croccantezza che regala agli alimenti, riempie la pancia, lasciando meno spazio per altri alimenti che potrebbero far degenerare i menù. È la forma solubile ad agire direttamente contro l’ipercolesterolemia. Dissolvendosi in acqua, la fibra crea un gel che intrappola parte del colesterolo presente nell’intestino, trascinandolo nel suo percorso verso l’espulsione dal corpo.

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Non finisce qui. La fibra nutre diverse specie del nostro microbiota (la flora intestinale, in gergo): i batteri che la fermentano producono acidi grassi a catena corta, che sono protettivi per il colon e a loro volta possono ridurre i livelli di colesterolo.

Le porzioni secondo le linee guida
Per avere un’idea di come orientarsi sulle quantità a tavola, è utile conoscere le Linee guida per una sana alimentazione. I riferimenti sulle grammature sono standard, per una dieta da 2.000 calorie (adatta a una donna in salute che fa moderata attività sportiva e a un uomo dalla vita sedentaria), ma vanno presi come schema esemplificativo che poi ciascuno adeguerà ai propri fabbisogni nutrizionali.
L’ideale è mangiare la pasta a pranzo, con condimenti gustosi ma non pesanti, mediterranei. La porzione giornaliera prevista dalle linee guida è 80 grammi di pasta, ma 40 grammi se in minestra o in zuppa di legumi.

Due ricette originali per gustare la pasta
Insalata di pasta con melanzane, pomodori e ricotta salata
Fregola fredda con pesto di zucchine, olive e primo sale